Di Gabriele Dominici.
Chi è il procuratore di un calciatore, l’uomo distinto in giacca e cravatta, che sfoggia cultura e sapienza, che conosce le norme giuridiche o l’uomo grezzo e talvolta buffo che da una pizzeria si ritrova a frequentare i grandi palazzi, a gestire milioni e milioni di euro, senza neppure curarsi di migliorare il proprio linguaggio o il proprio aspetto o la partner di turno che, a fianco del calciatore anche nella vita privata, pensa di poter gestire non solo i suoi capitali ma anche i suoi pensieri?
Forse è tutto questo o forse anche di più!
Il procuratore di un calciatore è un vero e proprio businessman che gestisce i contratti dei propri “clienti”, trattandone gli ingaggi, incassando la percentuale e fatturando cifre spropositate, ben lontano dai sentimentalismi, che cura anche la sua vita pubblica e forse anche quella privata trasformando i giocatori in vere e proprie macchine da soldi.
Una figura professionale, priva di un albo, che le federazioni stanno faticosamente cercando di regolamentare, perché per fare il procuratore non serve una grande preparazione giuridica, poichè la stesura dei contratti viene quasi sempre affidata a studi di commercialisti e a collegi di avvocati, né una grande cultura calcistica, serve soprattutto essere ben inseriti in questo mondo così complesso, ma altrettanto affascinante come quello del calcio.
E così ci ritroviamo procuratori improvvisati che grazie alle loro qualità dialettiche ed ammaliatrici e a qualche giusta conoscenza, riescono a spostare campioni e capitali, guadagnando cifre iperboliche, grazie a commissioni elevatissime e senza scendere in campo diventano i protagonisti assoluti e indiscussi nel calcio.
E per raggiungere i propri fini il procuratore spoglia il giocatore della propria maglia, priva l’uomo giocatore del senso di appartenenza, riducendo il tutto ad un mero mercato dove vince il miglior offerente.
Ed è per questo che il pubblico del calcio, quello motivato dalla passione, abituato a giocatori come Totti, Maldini e ancora prima Riva, che hanno legato la loro carriera ad una sola maglia rinunciando anche a grandi guadagni nel nome di un senso di appartenenza troppo forte alla loro squadra, poco tollera la figura del procuratore ritenuto responsabile del crollo dei sentimenti come la passione, quello che era definito dai nostri nonni, “l’attaccamento” alla maglia, togliendo al giocatore il loro valore simbolico sostituito da un mero e freddo valore commerciale.
E quel che è peggio che la figura del procuratore è entrata a far parte in modo prepotente anche nel mondo del calcio giovanile. Sono sempre di più i genitori che, abbagliati dal sogno di vedere i propri figli realizzarsi nel mondo del calcio, affidano i ragazzi ad agenti sportivi che possano spianare la loro strada e far cogliere l’occasione giusta, approfittando di tutte le agevolazioni che un vero professionista può avere nel mondo dorato del calcio, troppo spesso lasciandosi incantare da veri e propri millantatori, responsabili anche del futuro a volte deludente di tanti ragazzi.
Il rischio che si corre e che i piccoli calciatori, con la passione per questo sport, vengano distratti dal vero senso del calcio, nel suo duplice ruolo sportivo e sociale, e costretti a seguire consigli di un venditore di sogni perdendosi la parte più bella di questo gioco che ti può coinvolgere in mille emozioni, che ti fa piangere di gioia o di dolore, che unisce i ragazzi e che ti insegna che non esistono differenze se non di ruolo.