Di Eleonora Gentile
Sono nel complesso 8 i militari dell’arma indagati e che rischiano il processo nel caso Stefano Cucchi. Questi infatti scrissero note false per insabbiare il pestaggio che Stefano subì e che ne provocò la successiva morte. I reati contestati a vario titolo sono quelli di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia.
Questo è quello che emerge dalla chiusura delle indagini sul caso Cucchi, il geometra 31enne romano morto il 22 ottobre 2009 dopo sette giorni di atroce agonia, mentre si trovava in custodia cautelare.
Secondo la Procura di Roma, venne infatti redatta una seconda nota sullo stato di salute di Stefano, nella quale si attestava falsamente che : “Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda e umida che per la rigidità della tavola del letto dove aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza”, omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare del giovane. False annotazioni che avevano lo scopo di garantire l’impunità dei carabinieri della stazione Appia, responsabili di avere provocato a Stefano le lesioni che ne determinarono il decesso. In queste note si leggeva che le gravi condizioni di salute del giovane derivassero dal suo status di tossico e dalla sua eccessiva magrezza e non dalle botte che gli erano state inflitte.
Una catena di falsi partita dal generale Alessandro Casarsa, all’epoca comandante dei carabinieri di Roma. Oltre al generale a comparire nella lista degli indagati ci sono il colonnello Lorenzo Sabatino, Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Massiliano Colombo Labriola, Francesco Di Sano, Tiziano Testarmata e Luca De Cianni. Nel provvedimento di chiusura indagini, si identifica proprio nel generale Casarsa “il capo della catena di comando” nella vicenda dei falsi che sarebbero stati compiuti sulle annotazioni relative alle condizioni di salute di Cucchi al momento del suo arresto. Il comandante fece quindi modificare il contenuto dei verbali, per scagionare da possibili accuse i suoi uomini. Una vita, la vita di Stefano, in cambio della loro sembrava il giusto compromesso.
In quel ragazzo non ci vedevano nient’altro che un poco di buono, un drogato, un tossico. E con quella divisa addosso onnipotenti, come se lei li separasse dal resto del mondo. Una ferocia nera e inspiegabile seguita da una chiara lucidità nel coprire a tutti i costi la verità.Da carabinieri si sono trasformati in un’entità giudicante che ha eseguito la sua sentenza e che ha scelto che fosse giusto lasciar morire Stefano.
Una verità che è tardata ad arrivare tra smentite, false dichiarazioni e accuse. Una lotta che la famiglia di Stefano ha portato avanti senza tregua fino ad oggi. Anni di sofferenze che però hanno finalmente portato i suoi aguzzini a dover rispondere delle loro responsabilità. Un’enorme vittoria per la famiglia,per Stefano e per la giustizia.