di Lorenzo Giannetti.
Nel 2014 Save The Children ha messo in atto un progetto chiamato “Il viaggio di Bereket” che aveva lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione dei migranti creando un profilo social sul quale quotidianamente un bambino di 15 anni, Bereket appunto, postava ogni passo del suo viaggio fra foto video e pensieri. Il soggetto in questione non era però reale, ma un personaggio inventato modellato sulle molteplici testimonianze di migranti adolescenti. L’iniziativa ha avuto un buon riscontro dal punto di vista solidale. L’obiettivo era quello di creare un individuo lì dove per l’opinione pubblica europea esistono solo “esemplari”. In fondo il problema su cui ruota gran parte della questione è proprio questo: risulta molto difficile vedere un migrante che arriva, magari su di un barcone, come di una persona come può essere il proprio vicino di casa. Al di là delle motivazioni psicologico-sociali dietro questo fenomeno, è di fondamentale importanza moltiplicare iniziative come quella sopra citata affinché queste non meglio identificate masse di persone senza un volto, possano diventare uomini, donne, bambini, anziani con speranze, paure, sofferenze e gioie.
Spesso l’analisi dei social network legata alla questione migrazioni pone la sua attenzione sia sulla risonanza mediatica che questo tema porta con se, sia su come essi vengono utilizzati per sensibilizzare (o polemizzare). Ma esistono altri approcci che si possono assumere in questa ricerca come per esempio l’utilizzo che viene fatto dei social network da coloro che intraprendono questi viaggi migratori sia durante i viaggi stessi, sia al loro arrivo in un paese straniero del quale molto spesso non sanno nulla.
Nell’era della globalizzazione molto spesso i migranti, con una maggiore influenza nei giovani, dispongono di smartphone che sono ormai diventati uno strumento di viaggio fondamentale. Un rapporto realizzato il 16 maggio 2016 da Open University analizza una delle sfaccettature della questione: si occupa infatti del rapporto fra migranti e organizzazioni nazionali e sovranazionali veicolate dal mezzo dei social network. Si richiede alla Commissione Europea di agevolare la collaborazione fra Stati membri e agenzie governative al fine di fornire un background affidabile di informazioni e consigli per i migranti che intraprendono il viaggio. Il nodo centrale è che molti paesi non rispettano gli imperativi morali imposti dall’ONU nell’aiutare con informazioni digitali i migranti: infatti questi Stati non vogliono essere accusati da una porzione dell’opinione pubblica interna ed europea di facilitare i flussi migratori in entrata. L’atteggiamento di questi Stati membri la dice lunga sul clima politico che si è tornati a respirare in Europa. Se degli enti Ufficiali come degli Stati trasgrediscono apertamente un imperativo morale promosso dall’ONU, allora la situazione sta gravemente degenerando. Quello che più mi colpisce sono i paesi dai quali maggiormente arriva questa spinta di chiusura: Ungheria, Polonia e in generale l’Est europeo. Questi sono tutti paesi che non hanno mai vissuto in prima persona l’esperienza della immigrazione, ma che sono stati invece simbolo delle emigrazioni soprattutto negli anni novanta. Ci si potrebbe quindi aspettare una maggiore apertura a questi fenomeni anche come sorta di ringraziamento ideale per l’aiuto ricevuto da altri paesi in passato (con tutto il carico di problemi che purtroppo anno segnato le guerre in quelle regioni).
Alla fine però, a farne le spese sono sempre i più deboli, in questo caso i migranti. Occorrerebbe, come detto in apertura, offrire semplicemente aiuto a delle persone in difficoltà e non vederli invece come dei numeri da smistare o “un’emergenza stranieri” da risolvere.