Di Cecilia Cerasaro. No, la mancanza di ideali politici ed interesse dei giovani d’oggi non è dovuto al fatto che “sono sempre davanti ai cellulari e non si accorgono di ciò che hanno intorno”, come vorrebbe farci credere il sessantenne italiano medio. È facilissimo attribuire la colpa della crescente distanza dalla politica e il conseguente astensionismo ad un difetto generazionale di una gioventù priva di valori. Questo è un atteggiamento frutto dell’atavico convincimento che chi ci succede sia peggiore di noi, dipendente dall’invidia e dal senso di inferiorità correlato al timore che invece possa fare molto meglio.
Ma nessuno pensa che potrebbe aver influito sul loro disgusto nei confronti della classe dirigente e il conseguente rifiuto di scegliere i propri rappresentanti fra gli indegni candidati l’esempio meschino degli esponenti dei principali partiti italiani in questi anni.
I ventenni di oggi hanno cominciato a comprendere qualcosa del paese in cui vivevano presumibilmente nel momento in cui Silvio Berlusconi, accusato di compravendita dei senatori in un processo poi finito in prescrizione, e che sarebbe stato condannato in cassazione per frode fiscale nel corso del processo Mediaset, era Presidente del Consiglio, la quarta carica più alta dello Stato, non certo il migliore degli esempi. Da quel momento per questa generazione la politica è sempre stata associata alla corruzione. Erano gli stessi anni in cui l’allora Lega Nord guidata da Umberto Bossi incassava i 49 milioni di euro per i quali è stata condannata per truffa aggravata sui rimborsi elettorali. E non sono argomenti superati dal momento che Bossi oggi siede al Senato, così come Berlusconi e tanti altri coinvolti in questi ed altri scandali fanno ancora parte della nostra classe dirigente. È giustificata, sebbene sbagliata, la sensazione che il voto non possa davvero cambiare.
Difficile è anche credere nella politica sul territorio e nelle realtà locali quando sembra impossibile realizzare infrastrutture, eventi o servizi senza che l’amministrazione comunale venga sconvolta da scandali legati alle tangenti, basta citare il Mose, l’Expo, Mafia capitale.
A determinare l’allontanamento di un ragazzo o di una ragazza di vent’anni, l’età in cui si può e si deve voler cambiare il mondo, dalla politica non bastano tutti i casi di processi per corruzione e truffa della storia. Serve di sentire nell’aria e provare sulla propria pelle il tracollo di ogni valore, a cominciare dal sentimento basilare di compassione umana.
Dunque i giovani alle urne non vanno non per menefreghismo ma piuttosto per un astensionismo ribelle o perché non sanno scegliere “il meno peggio”.
È la politica ad essersi allontanata dai giovani per pura convenienza.
Giovani: una minoranza politica