Di Sara Condrò. In un paese in cui il calcio è lo sport più seguito, i valori economici e finanziari hanno purtroppo preso il sopravvento su quelli morali e sportivi. Il vincolo sportivo, una norma che tiene “legato” un giovane calciatore alla stessa società per anni, ne è la prova. Come abbiamo già detto questa assurda legge continua ad esistere solo in Italia ed in Grecia. Abbiamo elencato gli svantaggi dei ragazzi che gran parte delle volte si trovano a dover lasciare lo sport che amano perché vincolati ad una squadra dove non stanno più bene, ma qual è il ruolo della società di appartenenza in questa situazione? Quali sono i motivi che spingono un club a tenere con sé un giocatore che non ha più piacere di lottare per i suoi colori? Le risposte non possono che trovarsi purtroppo tra le ragioni economiche. Una volta tesserato con una società dilettante infatti, il giocatore gli “appartiene”, e non potrà andare via fino al compimento del venticinquesimo anno di età, a meno che non sia la società stessa ad accordargli il permesso (e quindi lo svincolo) per andare a giocare altrove. Il solo altro modo per lasciare la squadra a cui si è legati sono i soldi. Un altro club, magari più blasonato, infatti può scegliere di comprare il giocatore in questione arrivando ad un accordo con la squadra di appartenenza per la cifra da spendere. Altrimenti il procuratore o la famiglia stessa possono scegliere di comprare il cartellino del proprio ragazzo, ma gran parte delle volte le cifre proposte sono spropositate.
Altra fonte di guadagno delle società con cui si è tesserati è il Premio di Preparazione. Si tratta di un premio in soldi che va diviso tra le ultime tre società che hanno “formato” il giocatore nei 5 anni precedenti tesserandolo con un contratto annuale o pluriennale. E’ naturale quindi che se un club fa in modo di tenere un giocatore vincolato e sé per più anni possibili, sarà più alto il Premio di preparazione che incasserà. A dover pagare questo premio è la società successiva per la quale giocherà il calciatore, che non può rifiutarsi di pagare ma può comunque trovare degli accordi con le squadre in questione, a meno che esse non decidano di rifiutare il premio.
A pagare le conseguenze di questo giro intorno ai soldi sono sempre i giovani calciatori che si vedono costretti a giocare in un ambiente non più consono o a dover addirittura abbandonare lo sport che amano. L’Italia ha bisogno di tornare ad un calcio la cui prima regola fondamentale sia DIVERTIRSI!