Di Fabiana Donato. Spaghetti, vino e gentilezza, ecco di cosa sono fatti i piccoli piaceri, e le grandi serate. La cultura culinaria italiana ha molto da offrire, la sua tradizione antica però, è tutta da scoprire. Varietà e storia si intrecciano in un singolo piatto che, secondo l’accezione comunemente accettata, deve il suo nome alla città di Amatrice: l’amatriciana.
Pecorino, pomodori pelati o freschi, in base alla stagione, immancabile guanciale e una spolverata di pepe q.b , non sono gli ingredienti segreti per una pozione d’amore, ma ciò che è necessario per assaporare un’esperienza tutta alla romana. In continua evoluzione, è una tradizione che resta salda nel tempo, attraversando le generazioni, come un monumento culinario. Il segreto è proprio il suo essere un piatto unico, ma in costante trasformazione verso quella che potrà essere la sua miglior versione, quella che più sarà in grado di soddisfare i palati, da quelli più semplici a quelli più raffinati. Piatto con ingredienti locali, ma di elaborata preparazione. Categoria: salsa; riconoscimento: prodotto agroalimentare tradizionale italiano; antenata: gricia. Seguire le procedure nel modo opportuno, renderà la pietanza, all’altezza delle aspettative. Conoscere perfettamente le sue origini, non è possibile, ci sono tante notizie e aneddoti che accompagnano questo piatto ricco di storia. Alcune fonti riportano che la prima testimonianza scritta dell’uso della salsa di pomodoro per condire la pasta si trova nel manuale di cucina L’Apicio Moderno, scritto nel 1790 dal cuoco romano Francesco Leonardi. Dietro le informazioni, si cela la leggenda che narra come questa ricetta si sia diffusa grazie al coraggio di una donna: Anna De Angelis. La storia racconta di come la donna sia partita da Amatrice con al seguito della pasta fatta in casa ed essiccata, pezzi di carne suina stagionata, pecorino e qualche erba presa dai campi. Arrivata in città cominciò a preparare la versione originale, quella senza il pomodoro, e pare che tra i primi degustatori della sua ricetta ci fossero gli ortolani di passaggio alla stazione. Ben presto si aggiunsero anche molti cittadini e, anche se gli abitanti di Amatrice non erano visti di buon occhio dai cittadini romani, in pochissimo tempo questa ricetta ebbe molto, molto successo. Ecco spiegato il legame tra i due luoghi.
Sora Maria e Arcangelo, Sora Lella, Convivio Troiani, dello chef stellato Angelo Troiani, ancora, Osteria Fernanda a Porta Portese o l’Osteria Palmira a Monteverde, sono tutti nomi noti nella Capitale, dove non si può non provare questa delizia Romana. Ad ogni boccone si assapora, insieme agli ingredienti, un pezzo di cultura, storia e tradizione. Per mangiare una buona amatriciana, non basta mescolare il pomodoro al resto, ma ci vuole qualcosa in più. Quel qualcosa che dà colore, motivo e sentimento ad ogni piatto, sia che si tratti di un primo in un ristorante stellato, sia che si tratti di un’osteria. Per renderlo speciale, occorre fare ciò che più va d’accordo con la cucina, cioè: preparare con amore. Dove c’è cucina, c’è amore. Senza di esso, si mettono assieme degli ingredienti e nulla più. La leggenda ci narra proprio questo, come un piatto rimanga saldo nel tempo, solo se preparato per gli altri, con un atto d’amore.