Di Valeria Mascetti. Che cosa difficile avere 20 anni. “Niente melodrammi, perché abbiamo vent’anni, perché avere vent’anni è avere sogni grandi” diceva una canzone.
E invece vent’anni sono tutt’altro che solo un sogno. Vent’anni sono voglia di indipendenza, contrasti in famiglia, dubbi su noi stesse, futuro da costruire. In vent’anni consolidiamo i primi mattoni del muro del futuro mentre il passato va cementandosi. E lo vogliamo fare da sole: non ci serve aiuto per sollevarli anche se qualche volta quei mattoni sono troppo pesanti per le nostre braccia. E così pian piano costruiamo un colosso che, a volte, ci sembrerà troppo grande per noi. E arrivano le prime crisi, gli abbattimenti, le sofferenze, il senso di solitudine. Ci chiudiamo in noi stesse fissando quel muro e non trovando una via d’uscita. Saremo stanche, a terra, e ci sembrerà di annegare nel mare di lacrime che si stanno accumulando sotto di noi. Arriverà nostra madre che, mentre si tuffa nella nostra tempesta, ci griderà di risalire a galla. E’ la stessa madre che un minuto prima avevamo mandato a quel paese ripromettendoci che non le avremmo rivolto mai più la parola. E’ la stessa madre che poco prima avevamo colpito con uno dei nostri mattoni. E’ lì e ci sta porgendo la mano. Accettare il suo aiuto non sta a significare non essere indipendenti. Significa essere umani.
Spesso noi adolescenti quasi-adulti questo non capiamo: crediamo di essere grandi abbastanza per affrontare la vita da sole e pretendiamo di farlo, ma da sole affogheremmo. Non è poi, quella figura, il nostro più affidabile punto di riferimento? Forse senza ci perderemmo.
Esigere di camminare da sole è diverso dall’essere indipendenti, è diverso dall’essere forti senza contare su nessuno. Pensiamo a quante volte ci è capitato e ci capiterà di non cercare conforto per paura di apparire deboli, quante volte ci siamo fatti vedere con un sorriso che la mattina, davanti allo specchio, ci eravamo stampati in faccia con uno schiaffo auto punitivo.
Ma tutti noi ventenni, un giorno, porremo l’ultimo mattone in cima a quel muro, lo guarderemo con il petto gonfio di orgoglio pensando a quanta fatica abbiamo fatto ad arrivare lassù, contente che adesso, quel muro, fa ombra sulla testa di un nostro figlio che sta costruendo il suo.