Di Alessandro Gibertini. L’Italia è fuori dal Mondiale. Di nuovo. La storia si ripete. Gli Azzurri sono chiamati ad ospitare la Macedonia per il primo turno di playoff verso Qatar 2022. O si vince o si resta casa. Non esistono altre strade. Le parole del CT Mancini lasciano ben sperare i tifosi italiani: “I ragazzi sanno cosa fare”. Così come il teatro del match. Il Barbera di Palermo ha visto i calciatori in maglia azzurra imporsi 13 gare su 15, una tradizione vantaggiosa. Il pubblico a favore, con il 100 % di capienza, è un altro fattore da non sottovalutare.
Fischio d’inizio. Si comincia. L’Italia si presenta con una difesa completamente rinnovata, ma la man forte di centrocampo e attacco vede protagonisti gli stessi effettivi dell’Europeo. Stavolta, però, il risultato non è positivo. La voglia dei calciatori non manca, ma la poca lucidità e la disorganizzazione generale fanno da padrone. La prima unica, vera occasione da gol capita sui piedi di Berardi al 29esimo minuto. Il portiere macedone fa un errore da calcio provinciale, passando il pallone per vie centrali, su cui si avventa l’attaccante del Sassuolo. A porta sguarnita, l’ala preferisce la precisione alla potenza, dando la possibilità all’estremo difensore di rientrare tra i pali ed intervenire. Seguono molte percussioni, ma l’incisività è la pecca maggiore. Più passa il tempo sul cronometro, più le certezze si affievoliscono. Basta un tiro. Uno solo. Per far rivivere l’incubo del 2018 all’intera tifoseria azzurra. Trajkovski prende la mira ed insacca dalla lunga distanza. Nei minuti di recupero. L’animo dell’intero paese non si dà pace. Disperazione e rabbia. Solo questo.
Era importante, prioritario vincere. Bisognava dare un segnale. Per dire “Noi ci siamo ancora, Noi non siamo morti”. Soprattutto, in un periodo travagliato come questo, fatto di epidemie e di guerre. Le persone sono in cerca di un conforto, seppur minuscolo in confronto alle problematiche macroscopiche odierne. E vedere l’Italia lottare sul campo era, forse, la miglior maniera per staccarsi dal mondo e sognare. Proprio questo mancherà ed è mancato, almeno alle nuovissime generazioni: sognare. L’appuntamento è rimandato al 2026. Abbiamo toccato il fondo. Da qui, si può solo risalire. La rifondazione e lo scambio generazionale sono dietro l’angolo.
Ripartire dai giovani è la via più giusta da seguire. Ma per farlo, anche i club devono investire di più sulle proprie cantere. Oltre che aumentare il prestigio dello stesso campionato italiano.