Di Giordano Tabbì. Il tennis, da sempre, è considerato il più nobile degli sport, ma non per questo deve rifugiarsi in una bolla facendo finta che la guerra non ci sia. Dopo il caso di Djokovic e l’Australia sulla questione vaccini, il mondo del tennis è di nuovo nel caos. Questa volta desta polemica la decisione di Wimbledon e della Federazione inglese di tennis di escludere dallo Slam britannico atleti e atlete russi e bielorussi. Le sanzioni non si fermano al mondo politico ed economico, ma arrivano anche a quello sportivo, con la competizione, in programma dal 27 giugno al 10 luglio, che dunque non vedrà partecipare alcuni tennisti di fama internazionale.
Decisione giusta o sbagliata? Per il momento impossibile dirlo. Di una cosa siamo certi: l’Inghilterra si è tolta da un possibile imbarazzo di poter premiare un tennista russo sulla propria terra (il russo Medvedev è uno dei tennisti migliori al mondo). Già, perché, per quanto si possano schierare gli addetti ai lavori e i tennisti stessi contro questa decisione, questa è una decisione politica, non sportiva. Il più antico evento del più nobile degli sport è una vetrina politica, l’ennesimo duro colpo inflitto alla Russia, questa volta fuori dalla sua terra. Infatti, non possiamo mettere sullo stesso piano l’annullamento della finale di Champions League a San Pietroburgo e la cancellazione del GP di Sochi di F1 con questo, Wimbledon è la chiusura di un Paese verso un altro, che viene così “tagliato fuori” volontariamente dalla competizione da decisione del Paese organizzatore.
Lo sport ormai è politica, e riesce a fare quello che la politica non riesce più a fare, unire le persone. Dunque, se lo sport è utilizzato dagli stessi atleti per fini politici (contro decisioni dei governi, contro personalità politiche, a favore o sfavore di leggi, ecc.), perché la politica stessa non può utilizzare lo sport (in questo caso un grandissimo e seguitissimo evento come Wimbledon) per raggiungere i suoi obiettivi? La guerra nel 2022 si combatte anche così, rovinando l’immagine mondiale del nemico su tutti i fronti, anche quello sportivo.
Djokovic ha definito l’accaduto “una decisione folle”, ma di folle c’è solo la guerra, che ti toglie tutto quello che hai, anche se non hai fatto niente, anche solo giocare un torneo di tennis, e te lo toglie solo per la bandiera che rappresenti. Rimane l’amarezza di sapere che anche lo sport, che per eccellenza è l’attività di inclusione, rispetto, condivisione e pace, non può non subire le azioni politiche, trasformandosi in un qualcosa che va oltre un semplice torneo di tennis, diventando politica.