Di Michela Di Carlo. Arce, 1 Giugno 2001 la diciottenne Serena Mollicone non fa ritorno a casa dopo essere uscita per una visita odontoiatrica presso Isola del Liri.
Nel piccolo paese in provincia di Frosinone iniziano subito le ricerche della ragazza scomparsa e dopo soli due giorni il corpo di Serena viene ritrovato in un boschetto nei pressi di un bar molto frequentato. Serena ha una busta a coprirle la testa ed ha mani e piedi legati da nastro adesivo, presenta una lesione al cranio ma la causa del decesso risulta essere asfissia.
Vicino al corpo non vengono ritrovati però lo zaino di Serena, le chiavi di casa ed il cellulare.
Nessuno sembra aver visto niente tranne un uomo, Carmine Belli che dichiara di aver visto Serena litigare davanti a quel bar con qualcuno.
Il 9 Giugno, durante i funerali il maresciallo Mottola, della caserma di Arce, si presenta in chiesa, preleva il padre di Serena e lo porta in caserma con urgenza per firmare un verbale.
Era il verbale di ritrovamento del cellulare di Serena, che era stato rinvenuto, a detta dei carabinieri, nella camera della ragazza, dove prima però non c’era.
Nel telefono vengono trovati strani numeri che erano stati messi dall’assassino per depistare le indagini e indirizzarle verso le sette sataniche. Pista che però verrà abbandonata in fretta.
La procura di Cassino affida così le indagini all’Unità Analisi Crimini Violenti che subito inizia la ricerca di indizi proprio partendo da quell’uomo che aveva dichiarato di aver visto Serena, Carmine Belli.
Nella sua autofficina trovano lo stesso nastro adesivo che era stato usato per Serena e la ricevuta dello stesso odontoiatra dove lei si era recata la mattina della sua scomparsa.
Nonostante Belli venga arrestato le accuse contro di lui decadono perché all’ora dell’omicidio stava lavorando, di conseguenza non poteva aver ucciso Serena.
Carmine Belli dichiara però di essere stato incolpato per coprire qualcun altro.
L’11 aprile del 2008 però si ha una svolta nelle indagini, il corpo del carabiniere Santino Tuzi viene ritrovato nella sua auto senza vita, l’uomo si era suicidato con un colpo al petto.
Quattordici giorni prima erano iniziate delle indagini sulla caserma di Arce perché si riteneva che c’entrasse qualcosa con la scomparsa di Serena e proprio Tuzi aveva dichiarato di aver visto Serena la mattina del decesso arrivare alla caserma e salire agli alloggi dei Mottola, famiglia del maresciallo della caserma. Tale dichiarazione viene a poi smentita dallo stesso Tuzi in primo luogo e poi riconfermata, a causa di pressioni subite dal luogotenente Quatrale, che gli intimava di non parlare dell’accaduto; si pensa dunque che il carabiniere si fosse suicidato per le troppe pressioni subite.
La famiglia Mottola entra nel registro dei sospettati insieme al Quatrale e ad un altro carabiniere.
Nel Gennaio del 2016 i RIS analizzano da cima a fondo la caserma di Arce e gli alloggi soprastanti e in casa dei Mottola trovano una porta con una botta, che poteva coincidere con quella data dal cranio di Serena. Ma perché i Mottola avrebbero dovuto uccidere Serena?
A scuola la ragazza aveva accusato il figlio del maresciallo, Marco Mottola, di spacciare droga all’interno del paese, questo potrebbe aver causato l’ira del ragazzo che avrebbe ucciso Serena per poi farsi aiutare dal padre ad allontanare i sospetti da lui.
Le indagini sono tutt’ora in corso e speriamo che nonostante tutto la famiglia di Serena possa avere giustizia.