Di Francesca Altobelli. Si potrebbe non sapere esattamente che cos’è il phubbing ma quasi certamente si è praticato o se ne è state spesso vittime:
l’espressione phubbing – che deriva dall’inglese phone “telefono” e snubbing “snobbare” – indica infatti all’atto di ignorare o trascurare il proprio interlocutore in un contesto sociale concentrandosi sul proprio smartphone. Sappiamo bene che il cellulare è ormai un oggetto onnipresente nelle nostre vite e molti di noi hanno l’abitudine di tenerlo fra le mani e di interagirci continuamente: questo avviene non solo quando siamo in coda alle poste o sui mezzi pubblici e, soli e annoiati, controlliamo i social o navighiamo sul web, ma accade anche quando siamo immersi in relazioni sociali,come quelle in famiglia, con i colleghi, amici o in coppia.
Infatti il crudele paradosso di questo fenomeno è che uno strumento che dovrebbe servire a connetterci con persone distanti, come lo smartphone, si trasforma in una forma di evasione dalle relazioni più strette e vicine, che dovremmo invece vivere nel presente.
All’origine del phubbing sembra esserci, specialmente nei più giovani, un disturbo dell’autocontrollo, una sorta di tendenza compulsiva a guardare il cellulare. Un’altra spinta al phubbing potrebbe venire dalla paura di essere tagliati fuori dalle notizie o dai rapporti sociali, si parla infatti di FoMO (dall’espressione inglese “fear of missing out”) o ancora dalla dipendenza da Internet, ansia sociale o depressione. Tutti aspetti legati molto tra di loro.
La ricerca ovviamente non ha tardato ad analizzare questo fenomeno, infatti è stato condotto uno studio da un’équipe di psicologi dell’Università del Kent che ne ha confermato le prevedibili implicazioni negative: il phubbing andrebbe a peggiorare in maniera significativa la comunicazione e la relazione tra le persone.
Gli stessi autori lo hanno descritto come una vera e propria «forma di esclusione sociale», capace, quando lo si subisce, di «minacciare alcuni bisogni umani fondamentali, come l’appartenenza, l’autostima, il senso di realizzazione e il controllo».
La speranza quindi qual’è? Che, prendendo conoscenza di quanto disagio possa suscitare questo comportamento, le persone si impegnino il più possibile a “stare” nelle relazioni che stanno vivendo, e, se proprio devono rispondere a una chiamata o a un messaggio, dedichino a tali interruzioni il più breve tempo possibile.
Abbiamo una buona notizia , ovvero che l’intelligenza sociale si può imparare,attraverso vari canali come l’esperienza in prima persona o anche una semplice riflessione sugli errori compiuti o osservati negli altri. Se si aumenta la capacità di stare con gli altri in modo positivo ed empatizzare con le loro emozioni dovrebbe diminuire anche la spinta a distrarsi, cercando rifugio altrove, in relazioni e mondi fittizi.