Di Cristian Salvatore Miglietta. Immaginate di trovarvi a casa vostra, ma di non riconoscerla più. Di avere al vostro fianco figli, parenti e amici di lunga data, ma guardarli come perfetti sconosciuti. Dimenticarsi come si cammina, come si mangia, e infine morire disorientati. Quando si parla di morbo di Alzheimer si pensa solo alla possibilità di dimenticarsi qualcosa, ma questa terribile e incurabile malattia neuro-degenerativa porta via molto più che la semplice memoria.
Uccidendo le cellule nervose, la malattia di Alzheimer progredisce con l’avanzare dell’età fino a interferire con la vita quotidiana come un ospite indesiderato e prepotente. Tra le forme di demenza, il morbo è uno dei più comuni, tanto da rientrare tra il 50% e l’80% dei casi. Inizia con una grande difficoltà a ricordare le informazioni più recenti, per poi passare a una confusione sempre più evidente su luoghi e avvenimenti della propria vita. Viene meno la possibilità di avere una conversazione, di camminare a lungo e, spesso, anche di deglutire.
Ci sono delle speranze: gli studi stanno progredendo sull’identificazione precoce della malattia e su medicinali che possano attenuare i sintomi più gravi per migliorare la qualità della vita a chi ne è affetto. Una migliore comprensione di ciò che si vive quando si è affetti dal morbo di Alzheimer, sviluppo avvenuto soprattutto negli ultimi due decenni, permetterà di far venire alla luce nuovi e importanti trattamenti per rallentare o addirittura bloccare il suo corso.
Una testimonianza sulla vita di chi soffre di Alzheimer è presente nella biografia di Terry Pratchett, famoso scrittore britannico morto nel 2015 proprio a causa di questa malattia. Scrittore prolifico con più di cinquanta bestseller alle spalle, i suoi amici e collaboratori più cari hanno raccontato la sua battaglia contro la forma precoce di cui era affetto. Rob Wilkins, il suo assistente, ha dichiarato che pochi mesi prima di morire, con una lucidità disarmante, lo scrittore gli confessò che Terry Pratchett era già morto. Mondi lontani ancora da scrivere, da far conoscere alle persone, ricordi preziosi che scivolano tra le crepe del proprio cervello sempre più debole. L’eredità che chi soffre di Alzheimer lascia va raccolta, tenuta stretta, interiorizzata e ricordata per chi, un giorno dopo l’altro, perde ogni briciola di coscienza che gli era rimasta.