Di Valeria Pacifico. Su internet, la parola “vintage” è un attributo che caratterizza qualità e valore di un oggetto indossato o prodotto almeno vent’anni prima del momento attuale; un prodotto non solo che debba avere un’ottima qualità, ma che sia anche facilmente ricollegabile all’epoca in cui esso è stato realizzato.
Chi ama i mercatini dell’usato sa quanto sia emozionante trovare sotto una mole di abiti (senza che magari si stesse cercando), un pezzo unico, eccentrico e raffinato: che sia una borsa di Enrico Coveri o un pantalone degli anni 2000 di Elisabetta Franchi, quel pezzo automaticamente acquisisce in sé una storia e diventa più reale di una felpa di H&M comprata al centro commerciale.
Grazie ai social, l’acquisto di capi vintage è diventato sempre più popolare e più facile. Applicazioni come Vinted, Depop o Vestiare Collective hanno da una parte contribuito ad un minuscolo cambiamento nel sistema di vendita di prodotti esemplari e affascinanti, ma dall’altra restano pur sempre multinazionali con un fatturato annuo di 200 milioni di euro che del mito “vintage” hanno solo una piccola parte: la circolarità del prodotto.
Un settore ancora poco scoperto e incredibilmente affascinante del “vintage” è quello dell’arredo: cornici, divani, abatjour, stoviglie, tutto comprate ad un prezzo medio-alto (e per l’emozione che trasmette, anche giusto) e poste in casa come espressione artistica. L’arredo d’epoca va oltre i confini dell’eccentricità del capotto rosso che la zia metteva negli anni Ottanta, hai il potere di trasformare lo spazio quotidiano in un vero e proprio museo. Siedi su una sedia prodotto da IKEA negli anni Settanta, mangi su un tavolo che prima apparteneva a chissà chi. La tua casa diventa un racconto intrecciato in storie di persone che non conosci e che mai sapranno chi sei. Chi mi dice che su questo comodino non sia stata scritta la più bella lettera d’amore del mondo? O che con questo bicchiere sia stato fatto il brindisi di laurea di un ragazzo che voleva a tutti i costi diventare medico?
Sarà un’idea romantica di quello che molti chiamano “mercatino delle pulci” e dal quale tanti si tengono alla larga, ma la realtà vuole che l’abito faccia il monaco e indossare vestiti che siano autentici e godere di prodotti di arredo originali (e a km 0) è una prospettiva migliore rispetto a quella di acquistare tonnellate di microplastiche prodotte in serie, modellate secondo un criterio standard e che puntano alla omogeneizzazione del gusto.
Il vintage non è soltanto “vecchio” o “di seconda mano”, va oltre queste qualità. Il vintage è una vera e propria avventura.