Di Roberta Auriti.“Se lei non lo lascia, vorrà dire che gli sta bene così!” questa è una delle tante frasi che spesso si sentono dire da coloro che assistono a casi di abuso e violenza sul genere femminile, colpevolizzando le vittime e disprezzando gli uomini, per non parlare dell’usitata frase “se l’è cercata!”, che spesso lascia intendere una totale colpevolizzazione della donna. Spesso però liberarsi da una realtà abusante è più difficile di quanto si pensi, infatti dietro alla violenza si annida una perversa rete di abusi, in prima istanza psicologici, e poi fisici.
Questo ce lo dimostra uno studio condotto da Irene Pellizzone per l’AIR sugli esiti della violenza di genere durante il periodo della pandemia, secondo cui l’impatto psicologico della violenza domestica sulla vittima è essenziale per comprendere alcune dinamiche relazionali che rendono particolarmente complesso per la stessa donna spezzare il vincolo con l’uomo maltrattante. Il fenomeno nel suddetto studio viene chiamato “ciclo della violenza”, chiamato così perché l’uomo violento passa da una strategia di tensione e conseguente attacco, ad una strategia di distensione o “luna di miele”. Il ciclo rimane immutato ma le violenze diventano sempre più forti e frequenti. L’aspetto interessante è l’impatto che questo ciclo ha sulla vittima, la quale è colpita da un’altalena di sentimenti diversi, trovandosi irretita in una ragnatela sempre più difficile da strappare.
A dimostrazione di questo studio alcuni dati INSTAT proverebbero che gli stereotipi di genere sul ruolo della donna e sulle “ragioni” che provocano violenze, sono ben radiate nello steso mondo femminile, tanto più che le donne su alcuni stereotipi si troverebbero si dimostrerebbero più maschiliste degli stessi uomini. d’altro il maschilismo è così ben radicato nella nostra cultura da indurci ad un paradosso, ossia che le donne ormai hanno assunto l’occhio del maschilismo, giustificando molti comportamenti anche a loro svantaggio.
È il caso dello scenario di fronte cui si è trovato Francesco, tornando a casa da lavoro, stava camminando per Milano intorno alle 20, in zona Baggio, quando si imbatte in una coppia che stava litigano davanti a tutti i passanti. La discussione comincia farsi fin troppo violenta, superando i limiti di una consueta discussione di coppia, quando lui sferra un pugno in pieno viso della fidanzata.
“non potevo rimanere fermo a guardare” sono queste le parole di francesco, un ragazzo che tornando a casa da lavoro, si imbatte in uno scenario terrificante, quasi uno scherzo del destino a pochi giorni dall’omicidio di Giulia Cecchettin, che ha sconvolto un Italia intera e che lo ha portato ancora di più alla consapevolezza di non poter semplicemente rimanere a guardare. Eppure tutti coloro che hanno assistito alla scena sono rimasti inermi e silenti. Abituati a pensare che “tra moglie e marito non si mette mai il dito” nessuno muove un muscolo di fronte a questi scenari, ma si preferisce guardare con sguardo attonito e poi biasimare l’accaduto invocando i vecchi valori e chiedendosi dove si è andati a finire, quando i primi complici ai tanti casi di abuso e femminicidio che stanno investendo l’Italia sono proprio loro.
Francesco decide di non unirsi al silenzio degli innocenti, sentendosi del tutto legittimato ad intervenire, allontana subito la ragazza dal suo aggressore e chiama le forze dell’ordine, ma come se quanto accaduto fosse quanto di più normale e giusto al mondo, il ragazzo minaccia di chiamare gli amici e picchiarlo se non si fosse fatto da parte, affermando che in quanto la ragazza è la sua fidanzata, ciò lo legittima a farci quello che vuole. Nel frattempo la ragazza si era ripresa dal colpo beffardo del compagno, livida in viso, si avvicina al colui che l’aveva portata in salvo e sottovoce gli dice “capisci che adesso il mio ragazzo va nei casini per colpa tua?”. Francesco però non si smuove e poco prima dell’arrivo della polizia, viene pestato dal ragazzo e dagli amici, subendo un trauma cranico e una costola incrinata.
Ciò che più sconvolge è la normalità di come questa scena si dispieghi sotto gli occhi di tutti. La fidanzata era “sua” e poteva fare “quel che voleva”, come se divenisse una proprietà, come se avesse firmato un contratto al momento del fidanzamento. Lei giustifica gli atti e le dichiarazioni del fidanzato, totalmente assoggetta in questa rete psicologica in cui è stata gettata dalla società stessa. I passanti che rimangono inermi a guardare, ignorando la scena come se non li riguardasse. Francesco che viene picchiato sotto gli occhi di tutti per aver tentato di salvare l’insalvabile. Tutto sembra essere paradossale, uno scenario inquietante che porta mostri come Filippo Turetta al femminicidio, mentre tutti coloro che rimangono a guardare silenti senza muovere un muscolo, dovrebbero sentirsi colpevoli e parte del meccanismo perverso del maschilismo che governa la nostra società.