
Ogni femminicidio è un fallimento collettivo. Ogni donna uccisa è la prova che viviamo in una società che insegna alle ragazze a proteggersi, ma non insegna ai ragazzi a non uccidere. Che parla di amore, ma legittima il possesso, che coltiva l’idea che il rifiuto sia un affronto, e che l’autonomia femminile sia una minaccia.
Il patriarcato non è un concetto astratto: è una realtà tangibile, quotidiana. È nei tribunali che giustificano, nei titoli dei giornali che parlano di “delitti passionali” invece che di femminicidio, nei commenti sui social che colpevolizzano le vittime. È vivo nei gesti, nelle parole, nei silenzi. Si nutre di ignoranza, di paura e di potere, e la sua arma più potente è la normalità, non reagire ora significa diventare complici.
La violenza sulle donne è l’estrema manifestazione di un sistema di dominio. Se il patriarcato non viene smantellato, interi modelli sociali continueranno a produrre carnefici e vittime. Educare, denunciare, cambiare: sono verbi che dobbiamo usare al plurale. Non è una battaglia delle donne. È una lotta di civiltà. Perché quando muore una donna per mano di un uomo che non accetta di non possederla, a morire è un pezzo della nostra umanità.