Di Elisa Fuselli. Intervenire quando una donna è già morta è un fallimento. Un fallimento per la società che non è stata e tuttora non è in grado di prevenire atrocità che riguardano in primo luogo noi donne. Un fallimento per il sistema il cui obiettivo dovrebbe essere quello di tutelare la nostra incolumità e un fallimento verso l’uomo stesso che di fronte alla realtà dei fatti, esprime la propria indifferenza. I casi di femminicidio in Italia sono diventati così tanto frequenti che a sorprenderci non è più la notizia, la tragedia in sé, ma la frequenza con la quale queste violenze purtroppo avvengono. Negli ultimi dodici mesi, 31 sono le vittime che hanno perso la vita per mano di uomini, se così possono essere chiamati. Uomini di cui si fidavano, con i quali magari avevano una famiglia e deciso di trascorrere insieme il loro futuro. Gli stessi uomini però che poi hanno deciso in maniera estremamente egoista e crudele, di spezzare la vita alle donne che dicevano di amare. Solo nell’ultimo mese 5 sono le vittime di queste continue tragedie: Sabrina, Ruslana, Laura, Sara e Ilaria. Due di queste sono addirittura mie coetanee. Donne con vite, lavori e abitudini diverse ma con in comune il fatto di essere state uccise e violate dei propri diritti da un uomo che di problemi sicuri ne aveva, non con le donne ma con se stesso. Perciò il problema non risiede nella donna ma nella testa di chi arriva a compiere un atto così atroce, senza scrupoli e sensi di colpa a tal punto di vedere spegnere davanti ai propri occhi una vita innocente. Basta avere paura, basta essere private della propria libertà. Basta togliere libertà a donne che la meritano e lasciarne fin troppa a uomini che non dovrebbero proprio averla.