Di Andrea Doncel. Il tessuto mi graffia la pelle. Non è una metafora, è letterale. Una camicetta “trendy”, appena comprata, inizia a disfarsi dalle cuciture dopo il secondo lavaggio. È questa la qualità? O solo la bella confezione di un sistema che vende fumo?
Zara non vende vestiti: vende desiderio. L’illusione di essere “alla moda”, al prezzo di un fast food. Ma quel basso costo lo paga qualcun altro: lo paga l’operaia in Bangladesh che cuce contro il tempo, lo paga l’ambiente con tonnellate di rifiuti tessili, lo paghi tu quando il capo finisce nella spazzatura dopo un mese.
Le etichette dicono “made in Morocco”, “made in Turkey”, come se fossero marchi di orgoglio. Ma non c’è orgoglio nello sfruttamento. Non c’è innovazione nel ripetere il ciclo di comprare, usare e buttare. Zara si presenta come moderna, ma è il solito fast fashion di sempre: travestito, truccato, impacchettato.
Dicono che il vero lusso oggi non è possedere, ma saper scegliere. E la vera scelta è pensare prima di acquistare. Non ti stanno dando qualità. Ti stanno vendendo velocità. Stai pagando per l’immediato, non per l’eterno.
Zara non è economica. Zara costa carissima. Solo che la fattura non arriva sempre a te.