Di Aurora Calicchia. Due persone, una casa, un appuntamento romantico e due menti affollate: è questo il contesto in cui si colloca il nuovo film di Paolo Genovese, FolleMente. 

Nonostante l’idea sembri molto simile a quella del film d’animazione Inside Out, le particolarità di questa pellicola sono molte: il razionale, l’erotico, l’ansiogeno e il romantico si fondono per creare una folla di emozioni nella mente dei due personaggi principali. 

Non c’è dubbio che la caratteristica più accattivante di questa commedia sia il valore dato all’introspezione e all’emotività: una ventata di aria fresca rispetto alla media dei classici “cinepanettoni” italiani, basati perlopiù su un sarcasmo ormai arrugginito. Genovese ci ha visto lungo, puntando a un pubblico ampio e mostrando come il riso possa essere provocato anche senza scendere nell’offensività, ma anzi, portando alla luce quelle parti che ognuno di noi tenta di nascondere. A volte la parola di troppo, lo sguardo sbagliato, la battuta fuori luogo possono essere i fattori che determinano disagio nell’altra persona: l’imbarazzo che traspare, nel corso della prima parte del film, è dettato proprio dall’incapacità dei personaggi  di mettere da parte i pensieri intrusivi, dalla paura di non essere abbastanza attraenti o abbastanza interessanti. Ecco, però, che nel finale si lancia una “provocazione” allo spettatore: solo lasciandosi andare, abbandonandosi alla “leggerezza dell’essere” si può superare quella fase critica, si può far emergere la propria personalità senza la paura che il giudizio altrui possa incastrarci in una visione riduttiva della nostra persona. 

I temi toccati sono davvero tanti: dall’inadeguatezza al rapporto uomo/donna, dall’ansia di non essere abbastanza alle dinamiche di un rapporto sessuale. Questo film non fa che restituirci l’immagine riflessa di noi stessi: siamo, in quanto esseri umani, non solo vulnerabili, ma anche contraddittori. La bellezza della vita risiede proprio nel caos mentale che ognuno porta dentro di sé, alimentato da ansie, paure, rimorsi: proprio su questo punto Genovese fa centro, scegliendo due personaggi normali, con una vita semplice e senza pretese, enfatizzando le loro debolezze e le loro paranoie per permettere allo spettatore di empatizzare ancor di più con la situazione presentata; da qui si spiega, molto facilmente, la scelta di antropomorfizzare la personalità dell’uno e dell’altro personaggio. 

Insomma, nel complesso questa commedia, nell’idea iniziale poco originale, è riuscita comunque a mettere in scena le vulnerabilità umane con la giusta dose di ironia, dimostrando come la commedia italiana sia pronta a evolversi verso un orizzonte più moderno.