di Ilaria Granieri. Mario Vargas Llosa, Premio Nobel per la Letteratura, si è spento il 13 Aprile, all’età di 88 anni. Con la sua scomparsa, non perdiamo solo uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, ma anche un intero universo fatto di rivoluzioni, amori disperati, potere corrotto e uomini che, come lui, hanno cercato di raccontare il mondo con la penna come se in realtà fosse una spada. È davvero difficile dire addio a chi ha trasformato e usato il linguaggio come un atto di resistenza, a chi ha fatto della letteratura un campo di battaglia contro ogni forma di menzogna o repressione.
Come scrisse nel suo discorso per il Nobel nel 2010: «La letteratura è finzione, certo, ma è anche una verità profonda: ci ricorda che il mondo può essere migliore.»
Con opere come “La città e i cani”, “Conversazione nella Cattedrale” e “La guerra della fine del mondo”, ha raccontato l’America Latina con uno sguardo lucido ma spietato, scavando nella violenza delle dittature, nell’ipocrisia del potere e nella fragile umanità di chi è stato sconfitto. La sua scrittura non ha caso, ha sempre rispecchiato la sua persona: precisa, inquieta, sempre in lotta.
Inoltre la sua importanza nella nostra società va oltre i suoi romanzi. Vargas Llosa ha sempre creduto nella forza civile della letteratura, nel suo ruolo politico, sociale e culturale. È stato una voce critica contro i totalitarismi, un avversario delle ideologie cieche e un difensore della libertà individuale, è stato persino candidato alla presidenza del Perù nel 1990. Non ha mai avuto paura di esporsi, anche a costo di diventare impopolare.
Ma è nella sua opera che ha lasciato l’eredità più potente. Con ogni suo libro ha dimostrato che la narrativa può essere strumento di comprensione della realtà, uno specchio delle contraddizioni del mondo. Ha influenzato generazioni di scrittori, da Gabriel García Márquez, fino agli autori contemporanei che oggi si interrogano sul futuro della letteratura in un mondo dominato dalla velocità e dalla superficialità.
“Che cosa è successo in questo paese perché abbiamo finito per trovarci in questa merda?” questa è una domanda che si pone un suo personaggio in “Conversazione nella Cattedrale”, una domanda che ricopre un’intera epoca, ma è ancora la nostra domanda oggi. E Vargas Llosa è stato uno dei pochi capaci non solo di formularla, ma di farla risuonare con forza nelle nostre coscienze.
Oggi, mentre il mondo rende omaggio al suo genio, resta il silenzio che segue ogni grande perdita. Ma nei suoi libri continueremo a sentire la sua voce, viva, accesa e intransigente. Perché Vargas Llosa non è stato solo uno scrittore che ha creato storie, ma uno scritto che ha sempre cercato la verità. E finché ci sarà qualcuno che aprirà le sue pagine, lui non sarà mai davvero morto.
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