Di Ilaria Luzzi. La colpevolizzazione delle vittime è un fenomeno molto comune nei casi di femminicidio. Una tendenza subdola che uccide due volte le donne: la prima per mano del suo carnefice, la seconda per mano dell’opinione pubblica che le mette sul banco degli imputati.
Il victim blaming è un meccanismo che riesce a mettere ancora una volta le donne all’angolo, con la paura di essere giudicate, oltre che aggredite.
Non è più concepibile che la colpa possa spostarsi dall’aggressore alla vittima.
Questa ingiustizia viene messa in atto principalmente sui social media, dove le persone si sentono libere di dare sentenze senza metterci la faccia, senza capire che i commenti contro le vittime, in buona parte scritti da uomini, innescano una reazione a catena di cui la società maschilista si ciba.
“Se l’è cercata”, “chissà cosa ha fatto per provocarlo”, “cosa gli ha detto per ferirlo?”, “non sarebbe dovuta uscire a quell’ora da sola”, “perchè continuava a vederlo”, “non si DEVE mai andare all’ultimo appuntamento”: sono solo alcuni esempi di frasi da pelle d’oca che troppo spesso si leggono e si sentono. Frasi che oltre ad essere di cattivo gusto, spostano l’attenzione dalla violenza subita, al comportamento delle vittime. Secondo questa narrazione tossica, siamo noi a doverci giustificare, anche quando veniamo uccise.
Le donne non si sentono più libere nemmeno di denunciare, perchè sanno che la probabilità che non verranno credute e che subiranno un processo mediatico, è molto alta.
Recentemente i casi di Sara e Ilaria, le ultime due ragazze vittime di femminicidio, sono state la prova di quanto il victim blaming sia radicato nella nostra società. Nemmeno davanti la morte di due giovani innocenti si riesce a fermare una narrazione tossica e distopica, in cui il protagonista non è più il dolore delle donne, ma la giustificazione per la quale l’assassino ha compiuto quel gesto.
Il modo in cui la vittima era vestita, il suo carattere, la sua storia, non dovrebbero essere argomento di dibattito in nessuna sezione commenti, in nessun servizio televisivo e in nessun reportage giornalistico, perchè il rischio è di distogliere l’attenzione su ciò che davvero le donne devono subire ogni giorno.
Per contrastare il victim blaming è fondamentale un cambiamento culturale e un approccio diverso ai social media, che dovrebbero tutelare il dolore delle donne, impedendo la condivisione di contenuti che danneggino l’immagine della vittima e con lei un intero genere.