Di Edoardo Spuntarelli. Oggi, sedici aprile, Donald Trump avrebbe alzato al 245% i dazi cinesi, portando addirittura Xi Jinping, che non esce
dalla Cina da molto, ad andare a parlare con tutti gli altri paesi in cui i dazi del presidente americano hanno colpito maggiormente.
Qualcuno direbbe che questo è un sintomo di paura e di arrendevolezza, a me sembra invece un intento di formare un’alleanza per fare “guerra”. Una guerra che affonda le radici persino in America. Parte della nazione, infatti, aveva già cercato di distanziarsi dalle politiche di Trump; un esempio è quello della California, che aveva dichiarato di non approvare le idee del presidente di annettere il Canada. “Non lasciate che metta zizzania tra di noi”, “ci troviamo a oltre 3.200 km da Washington e a un mondo di distanza da quella mentalità”, aveva dichiarato il governatore Gavin Newsom, che ora attacca dicendo di voler fare causa all’America.
Secondo il governatore, i dazi imposti da Trump sono illegali e “stanno creando caos per le famiglie, le imprese e l’economia, aumentando i prezzi e minacciando posti di lavoro”.
Questa battaglia legale, economica ed etica di questo passo finirà per far cadere Trump, una battaglia che, partendo dall’interno, mina l’orgoglio del presidente che ora non può più difendersi facendo faccia tosta, prendendo in giro qualcuno o dicendo di baciargli il sedere. Il resto del mondo sta iniziando a fare sul serio e a metterlo alle strette; il suo modo di fare e la sua prepotenza, che lo hanno fatto eleggere, non possono funzionare ancora per molto. Ma dubito che ora il presidente si tiri indietro dopo essere arrivato a questo punto: sarebbe già una sconfitta, non resta che vedere come si risolva la questione. Intanto, la presidente Giorgia Meloni, grazie ai suoi rapporti con gli Stati Uniti, sembra avere assunto il ruolo di tramite tra l’Europa e l’America, anche se l’idea che l’Italia si schieri anche in minima parte con Trump mi preoccupa.
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