Di Aurora Calicchia. Sono 134 gli anni che, secondo le stime, servirebbero per eliminare totalmente il gender gap. In Italia e nel resto del mondo la possibilità che una lavoratrice percepisca lo stesso stipendio di un lavoratore è molto bassa: il lavoro di una donna vale meno di quello di un uomo. Il gender gap non è solo una fredda statistica da osservare e monitorare dal proprio pc: è  un’ingiustizia che si rinforza ogni volta che una donna viene messa un gradino più in basso solo perché tale; è una coltellata allo stomaco ogni volta che una donna riceve uno stipendio inferiore rispetto al collega uomo parigrado; è un’offesa ogni volta che una donna deve dimostrare di meritare il proprio lavoro. Non è normale che si accetti, nel 2025, questa condizione in silenzio. Non è normale che gli uomini si girino dall’altra parte, pensando che questo non li riguardi. Non è normale vivere in un mondo che fatica, ancora oggi, ad accettare che una donna possa ricoprire incarichi importanti. Non è normale che la maggioranza reputi sia la donna a doversi occupare della casa e dei figli, come se il lavoro di cura e accudimento siano una vocazione biologica e non un’eredità culturale malsana e maschilista. Il gender gap è il risultato dei pregiudizi che nutrono questa società, una società patriarcale e fondata sull’affossamento di quelli che vengono definiti “deboli”. Ma è importante ricordare che il divario di stipendio è solo la punta di un problema ben più radicato: è un disagio che parte dagli sguardi di troppo, dalle interruzioni nelle riunioni lavorative, dai colloqui in cui si investiga sulla volontà riproduttiva di una donna. È proprio da questi microcomportamenti, dai pregiudizi duri a morire, da quelle che vengono definite “solo battute”, dall’idea che la donna abbia necessariamente bisogno di una figura maschile al suo fianco per poter svolgere certe mansioni, dal linguaggio che si usa, dai ruoli che vengono cuciti addosso come gabbie che l’albero della disparità ingrossa le sue radici, rendendo difficile il suo abbattimento. Smettiamo di credere che quando un uomo si prende le proprie responsabilità di genitore e quando si prende cura della casa stia “aiutando” la sua compagna. Smettiamo di affidare alle donne la totale responsabilità del lavoro domestico. Solo così potremo raggiungere una parità che dia possibilità sia alle donne di essere libere dai pregiudizi sul lavoro, sia agli uomini di poter godere di maggiori diritti, come il congedo di paternità allungato. Il lavoro è un diritto di tutti, ma la realtà è ben più complessa. Il gender gap è una ferita, sì, ma è anche rabbia. La rabbia di tutte quelle donne stufe di dover chiedere il permesso di esistere. Una rabbia che, finalmente, chiede giustizia.

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