Di Ilaria Luzzi. La violenza contro le donne trova terreno fertile in una società che vive di stereotipi. 
Gli stereotipi di genere non sono innocui modi di dire, ma vere e proprie limitazioni mentali, causa di violenze fisiche e psicologiche. 
Il problema sorge quando è la società stessa a normalizzare l’idea che una donna debba essere sottomessa, rilegata alle mura e alle faccende domestiche, compiacente e accondiscendente. Questa visione fa credere all’uomo che ha tutto il diritto di imporsi sulla donna fisicamente e intellettualmente.  
L’adesione agli stereotipi di genere innesca un meccanismo che, se degenera, porta ad adottare comportamenti coercitivi contro chi è considerato più debole.  
Lo stereotipo per eccellenza che colpisce le donne è quello che le ritrae come delle principesse indifese alla ricerca di un principe azzurro pronto a tutto pur di salvarle. 
La vulnerabilità femminile non è però una condizione innata o biologica, ma una costruzione sociale, una fantasia maschile mirata a far emergere la forza e la virilità dell’uomo. 
Lo stereotipo della “donna principesca”perfetta, pura, compassionevole, in attesa del suo salvatoreè limitante: confina le donne a un ruolo subordinato, in cui il loro valore si limita alla capacità di attrarre e accudire la figura maschile. 
La dimensione domestica diventa il luogo ideale di questa costrizione, un luogo sicuro, lontano da tutti, in cui la donna è rinchiusa e costretta ad un ruolo, dove non può ribellarsi pubblicamente perchè “i panni sporchi si lavano a casa”. 
Ancora oggi le donne italiane dedicano il triplo del tempo rispetto agli uomini alle faccende domestiche, limitando così interessi personali e il raggiungimento di obiettivi professionali. 
Gli stereotipi di genere sono dannosi per le donne anche quando sono indirizzati agli uomini.  
L’ideale di mascolinità legato alla forza, al sangue freddo, alla razionalità, reprime gli uomini e può trasformarsi in violenza quando questa idealizzazione viene minacciata. 
Un uomo può essere portato a pensare che “perdere” una donna significhi perdere la propria dignità, così farà di tutto per evitare che questo accada, arrivando perfino ad ucciderla pur di non perderla. 
Pierre Bourdieu, sociologo francese, in “Il dominio maschile” scrive “il privilegio maschile è anche una trappola e trova la sua contropartita nella tensione e nel contegno permanenti, talvolta spinti fino all’assurdo, che impone a ogni uomo il dovere di affermare in ogni circostanza la sua virilità” 
Non è un caso che la maggior parte dei femminicidi avvenga a seguito di un rifiuto da parte della donna, perché quel “no” rappresenta il momento in cui la donna afferma la sua autonomia, ostacolando il volere dell’uomo.  
La mascolinità tossica si manifesta in un climax di comportamenti, spesso socialmente accettati, mirati a distruggere l’autostima della donnagelosia eccessiva, isolamento da amici e parenti, svalutazione della persona, scatti d’ira, femminicidio. 
La strada verso una società più sicura per le donne passa anche attraverso la decostruzione degli stereotipi di genere perché, per quanto questi ultimi siano radicati in ognuno di noi, rimangono costruzioni sociali e come tali sono mutabili attraverso l’impegno collettivo.