Di Edoardo Spuntarelli. Esattamente 50 anni fa moriva Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, ucciso nel 1975 da un commando di estrema sinistra. Alla domanda: «Cosa ne pensa di chi stasera saluterà Sergio Ramelli con il saluto romano?», il presidente del Senato, Ignazio La Russa, risponde: «Non voglio parlare dei saluti romani, voglio parlare di Sergio Ramelli».
Parole che, se anche sono schive e evitano la domanda, sono parole importanti. Per quanto dia sempre sollievo sentire un politico dichiararsi antifascista o parlare male delle manifestazioni dove si fanno saluti fascisti, mi sembra giusto dedicare la giornata al ricordo di Sergio e non dare importanza a persone che ne sporcano il ricordo. «Questa semplice commemorazione, senza segni esteriori, senza saluti particolari, vale più di ogni altra manifestazione.
Nel nome di Enrico e Sergio, l’intento è offrire a tutti gli italiani un segnale di concordia, di pace, pacificazione e soprattutto amore». Parlare di fascismo, comunismo e partigiani nel 2025, mi sembra così assurdo che quasi non trovo le parole. È come se ci fossimo dimenticati che ciò che è tragicamente successo molti anni fa fosse finito, e si continuasse imperterriti ad alzare bandiere che ormai non esistono più, senza neanche un vero motivo, solo per il gusto di potere che dona il fascismo nella testa degli inetti o per il senso di giustizia e libertà che doveva avere essere partigiani.