Di Francesca Romana Ligresti. È sera, sto cercando in tv un programma che mi faccia compagnia mentre, tra frigorifero e dispense, penso a qualche idea per la cena quando improvvisamente mi ritrovo davanti alla pubblicità di un cibo che sembra quasi di essere in un sogno: immagini a rallentatore, una melodia in sottofondo e una luce accecante che porta a chiedermi: ” Sono forse in paradiso?” Passati i 30 secondi della pubblicità mi rendo conto di essere a casa, e non nel paradiso del gusto, ma soprattutto di non sapere ancora cosa cucinare per cena. Questo è un esempio di come il cibo attraverso pubblicità, ma anche programmi televisivi, viene spettacolarizzato e idealizzato secondo quello che è lo scopo: fare in modo che lo stupore e la perfezione lascino lo spettatore affascinato al punto di rimanere a guardare e successivamente acquistare l’ alimento, o perché no ricrearlo. Dietro a tutto questo c’è un enorme lavoro nella cura delle immagini, notiamo per esempio grandi cucine di design perfettamente in ordine e stracolme di ingredienti che con tale perfezione catturano l’attenzione di chi guarda ancor prima di focalizzarsi sull’elemento centrale che è la preparazione di un piatto; questi programmi hanno delle caratteristiche proprie e funzionali, per esempio notiamo che vanno in onda principalmente nelle ore che precedono i pasti, soprattutto il pranzo, e che propongono ricette generalmente semplici, quindi alla portata di tutti, e dagli ingredienti facilmente reperibili in casa proprio per far in modo che chi le guarda abbia ‘in diretta’ la possibilità di ricreare quella ricetta. Sicuramente bisogna avere tempo per dedicarsi alla cucina e la nostra generazione che è sempre frenetica e alla ricerca di cose facili e veloci si avvicina poco a programmi che presentano ricette da ricreare, ma di più a quelli di competizioni e sfide in cucina come Masterchef o Quattro ristoranti, per citarne qualcuno, che vengono visti più come programmi di intrattenimento che come guida in cucina, ma che attirano sempre di più l’attenzione degli spettatori e soprattutto dei più giovani. Senza dubbio il merito non va solamente alle tv, ma anche ai programmi in streaming e piattaforme social che da qualche anno fanno in modo che i giovani si affacciano sempre più sul mondo della cucina con interesse e voglia di sperimentare; ma hanno anche generato diversi interrogativi su eventuali sprechi alimentari: nessuno all’inizio o alla fine di questi programmi ci dice dove va a finire il cibo utilizzato; questo per me è un enorme sbaglio poiché fa in modo che lo spettatore si faccia mille domande e arrivi a pensare al peggio. Cercando su internet ci viene confermato che non viene buttato alcun cibo, ma anzi viene dato in beneficenza ciò che si può mantenere per qualche giorno, mentre il cibo che va consumato in breve tempo diventa pasto dello staff e della produzione dello specifico programma; quello che però lascia perplessi è il perché non comunicare direttamente dove va a finire questo cibo, perché nascondere una cosa così bella come la beneficenza che sicuramente se condivisa in mondovisione potrebbe far nascere nello spettatore il desiderio di condividere uno dei beni primari per l’uomo, come ci si può privare di trarre dalla produzione di un programma di cucina un messaggio ed un insegnamento che va ben oltre l’esperienza culinaria e che possa dare insegnamenti di vita vera; l’unica risposta che riesco a darmi è che non sia una priorità per questi programmi quella di far passare messaggi importanti e che puntino solo a raggiungere l’unico obiettivo di lasciare tutti con l’acquolina in bocca.