Di Nayab Khan. Ci sono nomi che non dovremmo mai imparare leggendo una notizia di cronaca.
Sono i nomi delle donne che ogni giorno, in silenzio, spariscono da questa vita per mano di chi diceva di amarle.
Non sono numeri. Non sono titoli. Sono vite interrotte, sogni spezzati, sorrisi che non rivedremo più. Il femminicidio è una parola pesante. Fa male già quando la pronunciamo, perché sa di fallimento, di ingiustizia, di una ferita collettiva che non smette di sanguinare. Non succede mai all’improvviso. Non è mai un raptus. È un lento scivolare nella paura, spesso nascosta tra le mura di casa, dove nessuno guarda.
È l’amore che si trasforma in possesso. È la voce che si spegne sotto minacce, insulti, schiaffi prima piccoli, poi troppo forti. È il silenzio che diventa abitudine.
Ogni donna uccisa lascia un vuoto non solo nella sua famiglia, ma in tutti noi. Perché il femminicidio ci toglie un pezzo di umanità.
Ci toglie la possibilità di dire: “Abbiamo capito. Abbiamo fatto abbastanza.”
E invece, ogni volta, ci ritroviamo a piangere, a dire “mai più”, e poi a leggere un’altra notizia, un altro nome.
Serve molto più di una legge. Serve un cambiamento che parta da dentro. Dalle scuole, dalle case, dalle parole che usiamo.
Serve che i ragazzi imparino che amare non significa controllare. Che la gelosia non è una prova d’amore. Che il rispetto non è un’opzione.
Le donne non devono imparare a proteggersi. Sono gli uomini che devono imparare a non ferire.
Finché penseremo che siano le ragazze a dover stare attente, e non i ragazzi a doversi educare, continueremo a girarci dall’altra parte.
Fermiamoci. Guardiamoci intorno. E chiediamoci: quanta violenza passa ogni giorno sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo?
La prossima volta, quella ragazza potremmo conoscerla. Potrebbe essere nostra sorella, un’amica, una compagna di scuola.
Potremmo essere noi.
Finché continueremo a leggere queste storie senza agire, non cambierà nulla.
Ma se anche solo una coscienza si sveglia, se anche solo un cuore si ferma a riflettere, allora forse possiamo ancora sperare.
Non aspettiamo il prossimo nome. Facciamo qualcosa adesso.