Di Ilaria Corazzi. Era il 1° settembre del 2004 quando Denise Pipitone, una bambina di nemmeno quattro anni, scomparve nel nulla a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, Sicilia. Denise stava giocando davanti alla casa della nonna materna, in una strada tranquilla, quando improvvisamente si persero le sue tracce.
Nessuno vide, nessuno sentì nulla di anomalo, solo l’assordante silenzio di una grande omertà che, ancora oggi, continua a riecheggiare: si trattò infatti, immediatamente, di una sparizione avvolta in un alone di mistero. Subito dopo la scomparsa furono avviate indagini serrate ma, già dalle prime ore, fu chiaro che si trattava di un rapimento e non di un allontanamento volontario; la pista principale seguì, da subito, l’ipotesi di un conflitto familiare: si scoprì infatti che Denise era figlia biologica di Piero Pulizzi, all’epoca sposato con un’altra donna, Anna Corona, dalla quale aveva già avuto precedentemente due figlie.
Per questo, fu inevitabile che l’inchiesta iniziò a concentrarsi proprio sull’ambiente familiare allargato: Anna Corona e la figlia Jessica Pulizzi, sorellastra di Denise, furono tra le principali indagate; la ragazza, in un primo momento, venne rinviata a giudizio e processata con l’accusa di concorso in sequestro di persona ma, dopo un lungo iter giudiziario, fu assolta in via definitiva nel 2017 “per insufficienza di prove”.
Nel corso degli anni sono state moltissime le segnalazioni: Denise è stata “avvistata” in diversi luoghi, dall’Italia all’estero.
Famoso è il caso della bambina rom a Milano, ripresa da una guardia giurata mentre parlava italiano e somigliava a Denise, eppure anche quella pista non portò a nulla.
Nuovamente, nel 2021, ci fu un clamore mediatico per la storia di Olesya Rostova, una ragazza russa somigliante a Denise ma, dopo giorni di speranze e attese, il DNA escluse ogni collegamento della donna con la bambina scomparsa a Mazara del Vallo.
Ad oggi, Denise Pipitone è ancora ufficialmente scomparsa: non si hanno certezze sul suo destino, né prove che possa essere in vita o meno.
L’unica cosa certa è che Piera Maggio, la madre di Denise, non ha mai smesso di cercare la verità: negli anni ha promosso campagne, conferenze stampa, appelli sui social e ha chiesto più volte la riapertura delle indagini, affinché il caso non venisse dimenticato. Ha scritto anche un libro sulla sua battaglia per ritrovare Denise, diventando simbolo di forza e resilienza.
Tuttavia, la sensazione generale è di un progressivo rallentamento, una rassegnazione che non viene dalla famiglia, ma dal sistema investigativo. Di recente, la Procura di Marsala ha archiviato nuove ipotesi di indagine, pur lasciando aperta la possibilità di ulteriori sviluppi in caso di nuovi elementi.
La storia di Denise Pipitone è una delle ferite ancora aperte dell’Italia, un mistero che si porta dietro domande senza risposta, una verità che pare sfuggire ogni volta che sembra a portata di mano.
La dignità e la determinazione di Piera Maggio sono il motore di una battaglia che dura da più di vent’anni e che nonostante il tempo, nonostante la stanchezza, continua a farsi sentire: la pretesa di sapere, un giorno, cosa è davvero accaduto a Denise, di ridarle una voce e, forse, un volto, rappresenta un diritto che non può essere negato ad una madre che, da più di vent’anni, non ha più una figlia senza conoscerne il motivo, senza sapere quale destino sia toccato alla bambina, senza la possibilità di piangere un corpo o abbracciare la piccola Denise, ingiustamente sottratta all’amore dei suoi genitori.
Citando un proverbio diffuso nella cultura italiana: “Le donne non si toccano nemmeno con un fiore”, la popolazione dovrebbe imparare ad applicarlo anche nei confronti dei bambini, perché i bambini non hanno mai colpe, non hanno mai responsabilità ma rappresentano, troppo spesso, lo strumento di vendetta di chi, con la realtà, non riesce proprio a fare i conti.