Di Laura Zogorean. Negli ultimi anni, il tema della salute mentale è finalmente uscito dall’ombra, ma quando si parla di formazione – scolastica, universitaria o professionale – c’è ancora una forte tendenza a sottovalutare quanto possa essere impattante sul benessere psicologico di chi studia. Lo stress da formazione è un fenomeno reale, diffuso, e troppo spesso normalizzato. Viviamo in un sistema che misura il valore delle persone attraverso i risultati: voti, certificati, performance. Questo atteggiamento finisce per spingere gli studenti – di ogni età – a caricare sulle proprie spalle un peso enorme, fatto di aspettative, confronti costanti, paura di fallire.
Il paradosso è che studiare dovrebbe essere uno strumento di crescita, non un generatore di ansia. Spesso lo stress legato allo studio non è causato tanto dal carico di lavoro in sé, quanto dalla pressione psicologica che lo accompagna. La paura di non essere abbastanza, di deludere le aspettative altrui o di non trovare un posto nel mondo del lavoro sono tra i fattori più ricorrenti. A ciò si aggiunge l’ansia da prestazione, che può sfociare in insonnia, attacchi di panico, cali di autostima e, nei casi peggiori, in veri e propri disturbi mentali. Credo che uno dei problemi principali sia culturale: abbiamo interiorizzato l’idea che “soffrire” per raggiungere un obiettivo sia un merito. Ma c’è una differenza fondamentale tra l’impegno e l’auto annullamento. Una formazione sana dovrebbe prevedere spazi per il recupero mentale, strumenti di gestione dell’ansia, e una maggiore attenzione all’equilibrio tra vita e studio. Un altro punto che ritengo fondamentale è l’educazione emotiva. In pochi imparano a riconoscere i segnali del burnout o a distinguere tra stress produttivo e stress dannoso. Sarebbe utile introdurre percorsi formativi che non si limitino alle materie tecniche o teoriche, ma che aiutino anche a sviluppare consapevolezza emotiva e capacità di autogestione.
Non è questione di fragilità, ma di umanità. Non tutti reagiamo allo stesso modo allo stress, e ignorare questa diversità porta molte persone a sentirsi inadeguate, quando in realtà avrebbero solo bisogno di un supporto adeguato. Credo che ogni istituzione formativa – dalla scuola all’università fino ai centri di formazione professionale – debba mettere la salute mentale sullo stesso piano dell’apprendimento cognitivo. Non possiamo più permetterci di considerare il benessere psicologico come un argomento “secondario” o privato. La mente è lo strumento principale con cui apprendiamo: se non è in equilibrio, tutto il resto perde senso.
In conclusione, affrontare lo stress da formazione non significa abbassare l’asticella o rinunciare all’eccellenza. Significa rendere il processo formativo più umano, più sostenibile, e più rispettoso dei tempi e delle esigenze delle persone. Perché formarsi, in fondo, dovrebbe renderci migliori – non solo più competenti, ma anche più sereni.