Di Giulia Frigeri. Per anni ci è stato detto che bastava distrarsi, non pensarci troppo, che era tutto nella testa, come se bastasse ignorarlo per farlo sparire. Ma le cose sono cambiate.
Sempre più spesso si sentono ragazzi e ragazze parlare dello psicologo. In modo semplice, naturale, nessun imbarazzo e nessuna vergogna, anzi. Perché iniziare un percorso psicologico non è un punto debole, è un passo avanti, è una presa di coscienza.
Non è vero che devi per forza “stare malissimo” per chiedere aiuto, a volte si è solo stanchi, confusi, pieni di pensieri che girano e non trovano via d’uscita. E no, parlarne con un amico non basta, a volte serve qualcuno che non ti giudica, che ti aiuta a mettere ordine, che ti fa da specchio.
Eppure non è così semplice, non basta volerlo, le sedute costano. Quelle pubbliche hanno mesi d’attesa, i bonus psicologici finiscono in pochi minuti, ed è assurdo, perché curarsi, andare dallo psicologo non dovrebbe essere un privilegio.
A volte è necessario parlare con qualcuno. Anzi, penso sia un modo per volersi più bene, per non portarsi dietro zaini che non servono.
Stiamo cambiando, non vogliamo più nascondere le nostre emozioni. Siamo cresciuti con troppe pressioni, devi riuscire, devi stare bene, devi sempre farcela, ma adesso riusciamo a dire di no, di non stare bene, di volersi capire e di volerci lavorare su, e non c’è niente di più umano di questo.
Questa non è una moda, non è una generazione fragile. È una generazione che ha deciso di rompere il silenzio, di ascoltarsi, di farsi spazio, e se il mondo non è ancora pronto a sostenerla, allora è il mondo a dover cambiare, non noi.
Attualità/La generazione che ha scelto di ascoltarsi