Di Ilaria Luzzi. La serie thriller britannica Curfew, tratta dal romanzo “L’alibi perfetto” di Jayne Cowie, narra di una realtà in cui, per garantire la sicurezza delle donne, gli uomini devono obbligatoriamente rispettare un coprifuoco notturno.
Dalle 19:00 alle 7:00 tutti gli uomini che superano la soglia della loro casa, vengono tracciati da dispositivi elettronici e arrestati. Questa procedura limita notevolmente i casi di femminicidio e violenza contro le donne, ma quando una notte una donna viene trovata priva di vita, cambia tutto.
Nonostante questa sia una serie distopica, permette di riflettere su un problema reale che riguarda ognuno di noi: nessuna donna si sente libera di camminare di sera, da sola, per strada.
Il filo narrativo della serie segue le indagini sull’omicidio della donna, tutto riconduce alla violenza perpretrata dalla forza di un uomo, ma come è possibile se nessun uomo è libero di poter uscire di notte?
Questa fiction solleva una questione fondamentale: siamo davvero condannate a scegliere tra la libertà degli uomini e la nostra sicurezza?
La verità è che le donne non sarebbero al sicuro nemmeno se ci fosse una legge a limitare le azioni degli uomini, non credo che questa sia la via giusta per una soluzione concreta, ma non nego che mi sarebbe piaciuto immaginare un mondo in cui, di notte, posso tornare a casa senza sentirmi in pericolo.

Una legge che limiterebbe le azioni degli uomini non risolverebbe il problema, sarebbe una soluzione a breve termine, che alimenterebbe solo la cultura dell’odio contro le donne, che non verrebbero viste solo come prede, ma anche come nemici da sconfiggere.
I paradossi che si possono riscontrare in una soluzione restrittiva e punitiva, sono molteplici: confinare gli uomini non trasforma la loro mentalità, ma rischia di alimentare sentimenti di risentimento.

Fuori dalla finzione narrativa, nella realtà di oggi, bisogna scavare nella radice del problema, dove si trova una cultura che normalizza il dominio maschile e l’oggettificazione delle donne.
Il femminicidio al centro della trama, rivela che nessun sistema coercitivo è in grado di sostituire una trasformazione profonda dei rapporti di potere tra generi.
La serie fa riflettere anche su un altro aspetto: anche l’uomo più pulito, politicamente corretto, quello che non ti aspetteresti mai, è colpevole. Colpevole di prendere decisioni al posto della donna, colpevole di non saper accettare un no, colpevole di pensare che per aumentare il proprio ego, ha bisogno di sminuire quello degli altri. Non è cattiveria innata, è privilegio inconsapevole.
Questa è una serie necessaria, per porsi quanto meno la domanda “bisogna davvero arrivare a questo?”, la risposta che mi sono data è no.
Da donna non voglio sentirmi al sicuro pensando qualcun altro in gabbia, voglio sentirmi sicura nel pensare che nessuno mi farebbe del male, perchè non ce ne sarebbe motivo.
Curfew invita a riflettere sull’urgenza di una decostruzione dei meccanismi che perpetuano la violenza di genere, partendo dalla responsabilizzazione collettiva e dalla decostruzione della mascolinità tossica. Se mai dovessimo arrivare a immaginare un coprifuoco come soluzione, potremmo ammettere di aver fallito collettivamente.