Di Daniele Sestili. La solitudine non dovrebbe esistere. Troppe volte questa condizione porta
persone in pieno stato di fragilità a entrare in un vortice come quello della
depressione, dove spesso chi viene travolto non riesce a trovare la forza di
uscire e le consequenze risultano purtroppo catastrofiche;vite stroncate da
un male che ha completamente divorato ciò che di vivo era rimasto nelle
sue vittime,che sono arrivate alla decisione di compire un gesto estremo,il
suicidio,nella scelta di voler terminare la propria esistenza piuttosto che
soffrire,che appassirsi come fiori a cui è stata privata l’acqua.Un tema,
questo, affrontato in modo eccellente dalla pellicola del 2009,per la regia
dello stilista Tom Ford ,“A Single Man”.
Il film è ambientato nel 1962 e mostra l’ultimo giorno di vita di George
Falconer,un professore inglese omosessuale che insegna in California e che
ha intenzione di suicidarsi poiché non riesce più a sopportare il dolore per
la morte del suo compagno Jim,deceduto in un incidente stradale,dopo che
entrambi avevano vissuto insieme per 16 anni.Le difficoltà che George
incontra nel relazionarsi con gli altri soltanto per il fatto di voler esprimere
sé stesso sono da sottolineare per comprendere un contesto sociale molto
attuale, seppur storicamente molto distante.
La società in cui George vive è una società fondata sulla paura:paura di un
conflitto nucleare, paura della diversità, paura delle novità,paura che, come afferma George, “è la ragione per cui le minoranze vengono
perseguitate, poiché la minoranza è riconosciuta tale quando costituisce
una qualche minaccia per la maggioranza, minaccia reale o immaginaria ed
è lì che si annida la paura e se questa minoranza è invisibile allora la paura
è maggiore”.E’ evidente come per George sia impossibile quindi esternare
i propri sentimenti e condividere il dolore che lo tormenta ,si sente
solo,estraneo a un mondo con cui cerca costantemente di creare dei
contatti utili per desistere dal tentativo di suicidarsi,in cui tenta di trovare
dei colori, in un mondo che appare bianco e nero.Chiaramente fallisce,
poiché questo mondo sempre più avverso sembra mastiricarlo per poi
sputarlo come una gomma da masticare ed ecco che la sua sofferenza si
acuisce sempre di più.Solo ricordando i bei momenti passati con Jim,dalla
loro convivenza fin al loro primo incontro, George pensa sia giusto
continuare a vivere,per entrambi.Ma con questa vita solitaria George non
ha nulla a che fare.Egli stesso è consapevole di interpretare un ruolo,infatti
dice : “Ci metto tempo alla mattina per diventare George.Tempo per
adeguarmi a quello che ci si aspetta da George e come deve
comportarsi.Una volta vestito, so quale parte interpretare”.La
consapevolezza di avere un ruolo all’interno della società non coincide con
la vita, specialmente se questa è una vita passiva,in cui l’uomo si sente
invisibile,incapace di comunicare con l’altro anche se lo ha di fronte, poiché
tutti e due non riescono a guardarsi realmente, e incapace soprattutto di
provare emozioni che siano personali e non conformi a quelle della massa. George nega la volontà di vivere in un mondo senza sentimenti,i quali
espone alla sua amica di vecchia data Charlotte, ma che vengono come
messi in secondo piano dall’egoismo e dall’eccentricità della donna stessa
che vorrebbe rimediare agli errori commessi nella sua vita amorosa
instaurando una rapporto di coppia con George,insinuando la veridicità
della relazione fra George e Jim,dimostrando un profondo senso di invidia
della donna nei confronti dell’uomo nel momento in cui la sua femminilità
viene oscurata da un’orientamento sessuale diverso.
E’ uno studente, Kenny,ad ascoltare George e a fargli capire l’importanza
del presente, proprio perché il futuro è incerto.Vivere nel passato non ha
senso perché ciò che è passato non può essere rivissuto, non possiamo
evitare gli errori commessi o gli eventi spiacevoli, ma dobbiamo fare
esperienza del passato, imparando una lezione da quello che ci è successo,
per vivere il presente non avendo rimpianti.Grazie alla vicinanza di Kenny,
George riemerge dalla depressione, da quell’incubo che lo aveva stremato,
conscio del fatto che si può sconfiggere il dolore,se si ha qualcuno con cui
combattere.Per sua sfortuna,la morte che tanto aveva desiderato arriva
improvvisamente,quando non era stato mai cosi vicino alla vita.
Il finale con l’argomento dell’amicizia ci deve far riflettere:non
minimizziamo i problemi altrui;ognuno di noi combatte ogni giorno una
battaglia contro i suoi mostri e non sempre tutti ne escono vincitori.La
depressione è una malattia che va curata ,ma chi decide di stare vicino a
una persona depressa deve ricordarsi di non essere egoista e rispettare i
suoi tempi.Questo non vuol dire che bisogna avere timore di approcciarsi
a persone depresse,anzi,bisognerebbe tutti essere più solidali in virtù della
conoscenza delle problematiche.Non siamo per loro solo un’appiglio, ma
una vera e propria ventata d’aria fresca, nell’aridità della solitudine.
Spettacolo/Cinema: il dolore della solitudine, “A single man”