Di Alice Versari. Immaginatevi catapultati in un mondo di enigmi avvolti nell’ombra, dove ogni indizio è un nodo da sciogliere e ogni risposta porta con sé un nuovo mistero; come un intricato labirinto della mente, dove il confine tra realtà e illusione diventa sempre più sfumato. Se state cercando una serata alternativa, alle prese col mistero, allora questo film fa per voi.
Un uomo muore cadendo dal soffitto della sua baita in montagna. A ritrovare il corpo sono sua moglie, Sandra, e suo figlio cieco, Daniel. Cosa mai sarà successo? Labirintico, controverso e riflessivo, così descriverei “Anatomia di una caduta” di Justine Triet presentato agli oscar 2024.
Caratteristica che colpisce fin da subito è l’estrema semplicità di questo film, sia nella sceneggiatura che nello stile. Infatti la trama non ricorre mai ad una eccessiva drammatizzazione e tutta la vicenda è incentrata quasi interamente sulla figura femminile protagonista, Sandra, accusata della morte del marito. Il personaggio di Sandra non rappresenta altro che la disumanizzazione femminile, in quanto più volte questa ha dovuto faticare per essere semplicemente ascoltata durante il processo e per evitare di essere ridotta al silenzio. Questa pellicola però non ci racconta solo di questo, ma arriva a toccare altre tematiche profondamente attuali, riuscendo a ridisegnare alla perfezione gran parte delle difficoltà della vita odierna; difficoltà che, molto spesso, non hanno il giusto spazio; come la violenza, il matrimonio sull’orlo del baratro e il sentimento di inadeguatezza nei confronti delle nostre stesse vite. “Anatomia di una caduta” nasconde anche una forte critica verso le conseguenze della comunicazione di massa, come, per esempio, che la verità non si costruisce più sui fatti, ma su quello che è più interessante da raccontare; su quello che fa più scena e scalpore.
Tutto questo mare di vicende e supposizioni viene accompagnato da una visione interna, in cui lo spettatore scopre sempre nuove verità insieme ai protagonisti. In questo modo la regista è riuscita a coinvolgere nella maniera più corretta gli spettatori, permettendo anche a loro di costruirsi le proprie supposizioni e punti di vista. Anche lo stesso finale, d’altronde, non viene imposto forzatamente, ma lascia libero spazio all’interpretazione su quello che possa esser effettivamente successo.
Insomma, “Anatomia di una caduta” è un film che non ha lo scopo di raccontare una vicenda di Legal Drama, ma solo quello di spingere gli spettatori a pensare e alzare supposizioni e idee su quello che è la storia, ma anche e soprattutto su quello che è la vita, nelle sue sfaccettature più crude che tante volte ignoriamo per comodità.
Justine Triet ci invita a guardare oltre il mistero del film, alla complessità della vita stessa. Un viaggio che non solo intriga, ma che ci spinge a riflettere sulle verità nascoste, sulle relazioni fragili e sulle sfide della comunicazione moderna. Un finale che non chiude porte, ma apre finestre sulla vastità dei nostri interrogativi, sulla ricchezza delle nostre interpretazioni.