Di Roberta Auriti. Fino ad oggi non erano i nostri corpi a determinare la moda, ma la moda a determinare i nostri corpi. . Le modelle da sempre devono essere magre per far risaltare il vestito che indossano, immagini che rischiano di influenzare pesantemente e in negativo anche tanti giovani,che davanti ad uno schermo guardano le modelle sfilare e le vedono perfette . L’obiettivo è diventare come loro. Verrebbe da domandarsi se una volta raggiunta e incarnata la loro musa non ne rimarrebbero comunque delusi.
Poi una scossa ha attraversato l’industria che ha finalmente permesso di mettere in evidenza la diversità, sia per rappresentare la moda che i modelli. All’inizio si è tirato un sospiro di sollievo, ma poi ci si è chiesto se si trattasse solo di un’operazione di facciata o se davvero fosse un atto di cambiamento nell’industria della moda.
Tanto celebrata e osannata in tutto il mondo, la moda italiana sembrerebbe perdere credibilità. Le parole “diversity” e “inclusion” sono diventate degli slogan, pronunciati con enfasi nelle dichiarazioni pubbliche e nei comunicati stampa. Ma quando si osserva la realtà, si scopre quanto tutto ciò sia spesso solo una facciata. Il discorso vale per tutti i tipi di minoranze, e non solo per quelle caratterizzate dal colore della pelle: modelli transgender, plus size, disabili, con la vitiligine o il monociglio sono sempre più famosi e richiesti, ma questo però non è abbastanza. Questi ultimi li vediamo qua e là, applaudiamo i lodevoli sforzi dello stilista per aver inserito nel proprio show una sola modella non bianca, con una taglia superiore alla 38, ed ecco qui che anche quest’anno abbiamo sistemato la brand reputation,infatti dei 20 modelli e modelle che hanno lavorato di più durante le sfilate dell’ultima stagione, nessuno portava una taglia superiore alla 38. Guardando una sfilata, si nota che il casting è composto principalmente da modelli “canonici” ,questo significa che il brand può anche aver richiesto una selezione esclusiva di modelli, ma il campionario di vestiti che mette a disposizione è comunque composto da sole taglie standard. E’ il caso di brand come Saint Laurent o Céline che non si sono mai allontanati dai loro paradigmi e canoni estetici, anche se spesso malsani.
Dopo la situazione pandemica Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, aveva evidenziato come fosse importante utilizzare la moda per parlare di inclusività sociale e culturale; eravamo tutti sicuri che la strada verso un maggiore amore per il nostro corpo era qui per restare, ma una nuova tendenza era già in attesa dietro le quinte: il ritorno della moda degli anni Novanta. E con essa: pantaloni a vita bassa, micro-minigonne, tanga visibilmente consumati e crop top corti. In altre parole, il tipo di abbigliamento con cui la maggior parte di coloro che hanno vissuto gli anni Novanta si sentiva a disagio. Anni in cui i disturbi alimentari e la glorificazione delle donne magre raggiunsero il loro apice.È essenziale che il settore in cui le apparenze contano davvero tanto rifletta la diversità piuttosto che limitarsi a vuote parole di circostanza. Ma per ora, nella Moda cambia tutto, tranne i modelli estetici .