Di Matteo Papasidero. La stagione della Lazio quest’anno sia stata – se non fallimentare – sicuramente al di sotto di aspettative e reali capacità. Viene naturale dunque interrogarsi su chi sia il responsabile di tale resa, ed è un argomento che tocca tutti, dagli addetti ai lavori ai tifosi.
Ognuno crede nella sua versione e ognuno incolpa chi ritiene maggiormente responsabile nel sistema.
Ciò che si dimentica però è che in un bene comune vi sono più responsabili, sia nel bene che nel male: non è merito di uno se il tutto funziona come non è colpa di un singolo se le cose non vanno come devono.
Ma nello specifico?
Si suddivida una società di calcio come un sistema con tre main characters:
società (inteso come gruppo gestionale ed amministrativo), allenatore e gruppo squadra.
Si ricerchino dunque meriti e colpe di ognuno di questi componenti e si noterà che la colpa è da spartire per ognuno di questi.
La società, che non ha assecondato l’allenatore nelle richieste e rea di aver condotto politiche contrattuali discutibili in merito ai rinnovi di alcuni elementi fondamentali nel progetto.
L’allenatore, che si, non è stato accontentato minimamente sul mercato, ma che aveva tra le mani una delle rose più complete che la SS Lazio avesse potuto vantare in vent’anni di gestione Lotito, e che ha dato l’impressione di non essere entrato a pieno nella testa dei giocatori, che apparivano altalenanti nell’approccio alle partite.
E i giocatori stessi, colpevoli di aver mostrato quasi platealmente un disinteresse nelle sorti della stagione, o di aver riempito la vigilia di partite importanti con dichiarazioni tanto scomode quanto evitabili sui rinnovi contrattuali della squadra (e i relativi adeguamenti di stipendio), in un momento che definire delicato sarebbe stato riduttivo.
Dunque la responsabilità è di tutti, ma in percentuali diverse, perché mentre allenatore e giocatori sbagliavano si aveva la possibilità di fare qualcosa, rimediare, salvare il salvabile in una stagione in cui – al netto di tutto – si era ancora in corsa in campionato, coppa Italia e con un ottavo di champions league da giocare con un mostro sacro chiamato Bayern Monaco: il mercato di gennaio. Ma si è preferito inviare il direttore sportivo in conferenza stampa a dire che la rosa non necessitava adattamenti e che fare mercato a gennaio “non deve essere una moda”. I risvolti seguenti poi sono chiari a tutti, e pagare alla fine è stata l’unica persona che forse poteva portare in alto questa squadra, con le sue colpe, ma anche tanti meriti non riconosciuti: l’allenatore, che forse teneva a questa società più di chiunque altro ci abbia messo piede nell’ultimo decennio, e che ha preferito farsi da parte perché convinto di essere il problema. Ma la verità è che la collaborazione tra società e allenatore è un connubio fondamentale per gettare una solida base su cui far crescere il gruppo squadra, e in una società come la Lazio, fa più notizia che ci sia piuttosto che sia assente.