Di Martina Sallusti. Nel 2010, la scomparsa e il tragico ritrovamento del corpo della tredicenne Yara Gambirasio, morta di ipotermia dopo essere stata rapita, ferita e abbandonata in un campo a Chignolo d’Isola, scossero l’Italia, dando inizio a uno dei casi di cronaca nera più seguiti degli ultimi decenni. Un caso che fin da subito ha diviso l’Italia in due; La giustizia, dopo i primi accertamenti, ha puntato il dito contro Massimo Bossetti, condannandolo all’ergastolo. Tuttavia, molti aspetti del processo e delle prove presentate destano perplessità e sollevano dubbi legittimi sulla sua effettiva colpevolezza.
Il punto chiave dell’accusa risiede nel profilo di DNA rinvenuto sugli indumenti della vittima, il cosiddetto “Ignoto 1”, che secondo gli inquirenti corrisponderebbe a Bossetti. Cè da dire però, che si è arrivati a lui, in maniera molto approssimativa dopo aver fatto l’esame del DNA a tutta la città, come non si era mai fatto prima ad ora. Da questi esami sono uscite bugie, tradimenti, fratellanze, sconosciute fino a quel momento e scartando e studiandone altri di risultati, si è arrivati a Massimo Bossetti ma  una parte del DNA che accerterebbe con certezza che sia di Massimo Bossetti, non è mai stata rilevata, ma bensì è presente solo una parte che corrisponde alla sua, è con questa introduzione, che si chiedono in molti: il colpevole di quel terribile omicidio è stato davvero trovato? O è stato incolpato qualcuno che, tra un po’ di anni risulterà innocente? Infatti questa prova genetica ha suscitato controversie: diversi esperti sostengono che l’esame del DNA sia stato eseguito senza garantire le dovute procedure di trasparenza e che la quantità di DNA raccolto fosse minima e contaminabile. A complicare ulteriormente la questione, alcune prove che avrebbero potuto scagionarlo non sono mai state approfondite, mentre altre sembrano essere state inspiegabilmente ignorate o persino insabbiate; infatti nel momento in cui è stata richiesta la revisioni di alcune prove, addirittura per un momento sembravano scomparse nel nulla.
La condanna di Bossetti è basata su prove indirette e su un quadro indiziario fragile, che si è prestato a manipolazioni e ha alimentato un clima di caccia al colpevole, forse dettato più dalla pressione mediatica che dalla ricerca di una verità inoppugnabile, dato che, anche il luogo dove è stato ritrovato il corpo della ragazza, doveva già essere ispezionato più e più volte da cima a fondo, le ricerche anche in questo hanno avuto un grande buco di attenzione e di mancata professionalità poiché è bastato un aeroplanino giocattolo che non ha seguito la giusta mira, per ritrovare quel corpo dopo mesi. La difesa ha più volte chiesto di rivedere il caso e di permettere ulteriori analisi sul DNA, al fine di fugare ogni dubbio. Di fronte alla mancanza di prove certe e alla gestione opaca delle indagini, rimane il quesito: Massimo Bossetti è veramente colpevole, o sta scontando un’ingiustizia?