Di Martina Sperandio. Era il 13 marzo 2013 quando Jorge Mario Bergoglio cominciò una rivoluzione silenziosa fatta di gesti, parole e scelte che hanno cambiato il volto della Chiesa cattolica. Quando nel 2013, rispondendo a una domanda su un prete omosessuale, disse “Chi sono io per giudicare?”, il mondo si fermò per un attimo. Un’apertura che si è tradotta in gesti concreti: l’incontro con coppie dello stesso sesso, la loro benedizione (purché spontanea, breve e non ritualizzata), il Giubileo 2025 che per la prima volta prevede una giornata interamente dedicata alla comunità arcobaleno. Per la prima volta in secoli, un papa ha messo in discussione la verticalità assoluta della gerarchia ecclesiastica: con il processo sinodale ha aperto spazi di ascolto reale, dove non più solo il papa e i vescovi, ma anche sacerdoti, religiosi e laici (tra cui donne e giovani) possono esprimersi.
Si è espresso anche in ambito ambientale, parlando di una “cultura dello scarto”, che non riguarda solo la plastica, ma anche le persone, chiedendo a credenti e non credenti di prendersi cura del pianeta come farebbero con un fratello malato. Papa Francesco ha fatto qualche piccolo passo anche nei confronti delle donne, permettendo loro di ricoprire ruoli che prima di allora risultavano impensabili, affermando che il genio femminile è indispensabile alla Chiesa. Durante i suoi viaggi apostolici ha dato voce agli ultimi e ai dimenticati, puntando i riflettori su migranti, senzatetto, detenuti e popoli indigeni. Papa Francesco non è stato un rivoluzionario nel senso tradizionale del termine, ma un riformatore: non ha abbattuto muri, ma ha aperto porte. Per qualcuno è stato troppo. Per altri, troppo poco. Per molti, finalmente qualcosa.