Di Giulia Frigeri. Non serve essere arrivati alla fine del percorso per percepirla, la paura del dopo si insinua molto prima, anche mentre si prosegue negli studi. Non è la paura degli esami, del voto, né del momento della laurea, è qualcosa di più profondo, è la paura del vuoto.
Si cresce con l’idea che l’università sia la porta d’accesso al domani, ma più ci si avvicina all’uscita, più si intuisce che oltre quella soglia regna l’incertezza. Il lavoro, le aspettative sociali, la competizione, tutto appare confuso e instabile. Cosa succede dopo? Dove si va? Cosa si diventa?
E allora si cerca di non pensarci, si lavora, si studia, si corre, ma basta poco, una domanda di un parente, un post di qualcuno che si è appena laureato, un’offerta di lavoro irraggiungibile, per ricordarsi che quel momento sta arrivando per tutti.
Ci si confronta tra studenti, si condividono dubbi, si cerca orientamento. E si comprende di non essere soli. Perché questa inquietudine non riguarda un singolo, ma una generazione intera che, pur preparata, fatica a trovare una direzione.
Si teme di non essere all’altezza, è il timore di sprecare gli anni investiti, di non essere pronti, di non avere abbastanza. È una sensazione condivisa, fatta di speranze mescolate a dubbi
Ma forse da questa incertezza può nascere qualcosa di autentico. La voglia di costruire il proprio cammino, anche senza certezze, la forza di provarci, nonostante tutto, perché non è sempre la strada tracciata a portarci lontano, perché il futuro non si presenta, si costruisce un passo alla volta.
Attualità/Il vuoto dopo la laurea