Di Giorgia Di Stefano.
A km zero: “Siao Tal Tal (La cinese, Liao Tal Tal)” di Primo Conti
Questo dipinto è stato realizzato nel 1924 dal pittore e scrittore fiorentino Primo Conti. A prima vista il dipinto potrebbe sembrare lontano dal tema di questa rubrica, ma ciò che l’artista ha voluto rappresentare è proprio la bellezza, anche se si tratta di una bellezza diversa. I tratti che siamo abituati a vedere sono molto lontani da quelli che possiamo osservare sul volto della donna, ma il soggetto rappresentato rispetta perfettamente i canoni di bellezza della cultura cinese sia per quanto riguarda i lineamenti sia per gli abiti e il modo in cui è truccata la donna. Il volto infatti è molto pallido è le guance sono rese estremamente rosse, come anche la parte centrale delle labbra fine. Opere come questa possono mostrarci come la bellezza si può trovare anche al di fuori delle nostre abitudini e di ciò che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno. Attualmente quest’opera fa parte di una collezione interamente dedicata alla figura femminile che rimarrà nella Gallerie d’Arte Moderna a Roma fino al 13 ottobre 2019.
A spasso per l’Italia: La statua di Redit al Museo Egizio di Torino.
Questa scultura rappresenta la principessa Redit ed è datata tra il 2592 e il 2118 a.C., si tratta di una delle opere più antiche dell’intera collezione che si trova nel’area del museo dedicata all’arte egizia. Il materiale con cui è realizzata è una pietra granodiorite lavorata nei minimi dettagli per offrire una ricostruzione della principessa che potesse rendere giustizia alla sua bellezza. I capelli della giovane sono lavorati ed acconciati secondo la tradizione del tempo e la stessa cosa vale per il modo in cui è truccata la ragazza. Possiamo vedere infatti che sugli occhi dell’unica protagonista dell’opera c’è una marcata linea che sta a rappresentare quello che noi oggi chiameremmo ‘eyeliner’ o ‘kajal’, ovvero la linea nera che si può notare in tutte le opere che arrivano a noi dall’antico Egitto. Originariamente prendeva il nome di ‘bistro’ ed era realizzato con polvere di galena, grassi, resine e linfa di Sicomoro, aveva lo scopo di rendere lo sguardo sensuale e magnetico.
Per i viaggiatori: La Venere di Willendorf, al Naturhistorisches Museum di Vienna.
Si tratta di una delle opere più famose risalenti all’era paleolitica, è datata infatti tra il 23.000 e il 19.000 a.C. Chi non ha mai visto questa statua prima d’ora potrebbe rimanere spiazzato in quanto questa Venere si distacca totalmente dalla Venere mitologica che istituirà un nuovo ideale di bellezza numerosi secoli più tardi. Dobbiamo però pensare che questa statuetta di circa 15 cm risale ad un’epoca ben diversa e che, di conseguenza, conosceva ideali e canoni estremamente diversi da quelli che conosciamo noi. La Venere di Willendorf infatti rappresenta un corpo femminile steatopigo (con spiccata lordosi lombare), ha seno e ventre eccessivamente grandi, ma dov’è la bellezza in tutto questo per un uomo del terzo millennio? L’opera rappresenta la fertilità della donna, la capacità di procreare e di dare alla luce nuove vite e se per noi la vita è ancora un grande mistero, per gli uomini del paleolitico non poteva che essere qualcosa di divino, un dono concesso soltanto al corpo femminile che già allora era reso meraviglioso dalla possibilità di creare la vita. La bellezza, per quelle popolazioni seminomadi, non era altro che la magia della procreazione, di cui la donna è l’unica garante.
A presto con un altro episodio di questo viaggio nella bellezza e nella sensualità.