Di Giordano Tabbì.
Arriva come un fulmine a ciel sereno , nella Capitale, la notizia che nessun tifoso giallorosso avrebbe voluto sentire, o almeno non al termine di questa incolore stagione della Roma. Daniele De Rossi e la A.S. Roma si separeranno a fine stagione. Una fine inelegante dopo diciotto anni di matrimonio e sentimento, tanto sentimento. Nato a Ostia ma figlio di Roma, Daniele calca i campi di allenamento di Trigoria per la prima volta a undici anni, da lì in poi è amore puro. 615 presenze (che potrebbero aumentare fino a 617), 63 gol, due Coppe Italia, una supercoppa Italiana, un mondiale con la Nazionale nel 2006, ma soprattutto tante emozioni e tanto cuore. Tre cose ci mancheranno di De Rossi: la sua grinta, il suo attaccamento alla maglia ma soprattutto quella vena, quella bellissima vena che veniva fuori in ogni momento di gioia che Daniele viveva indossando quella maglia che ama. E’ stato la colonna portante ed il cuore pulsante del centrocampo della Nazionale e della Roma, è cresciuto, col tempo è diventato più lucido, meno impulsivo, ma non ha mai perso quella voglia di lottare che lo ha sempre contraddistinto.
La A.S. Roma non ha voluto rinnovare il contratto al capitano. Il comunicato di una società che, come ha dimostrato, non sa comunicare le sue scelte, non ha un piano ben preciso e destabilizza la squadra con questa notizia proprio nel momento conclusivo della stagione. La Roma non perde solo un calciatore, il suo gladiatore in mezzo al campo, ma perde il leader di questa squadra. Una mossa che sinceramente stentiamo a capire visto anche le prestazioni di questa stagione del capitano. E’ vero che ha subito vari infortuni nel corso dell’anno, ma dopo diciotto anni, come si può mandare via il tuo capitano in questa maniera? Nessun tifoso della Roma, ma neanche nessun uomo di cuore si sarebbe comportato così, il tifoso romanista si sente mortificato nei confronti di De Rossi e arrabbiato e deluso per l’assente senso di riconoscimento da parte di una società, che dimostra essere allo sbando più totale.
Roma ed i romanisti però rispetteranno sempre la persona, il calciatore, il ragazzo che è diventato uomo per tutto ciò che ha fatto per la maglia. Era sudata tutte le partite e l’ha sempre onorata, valori che nel calcio moderno stanno ormai scomparendo. I tifosi saranno sempre accecati da quell’amore vero e incondizionato che con il capitano si sono sempre scambiati. Daniele giocherà la fine della sua carriera con una maglia diversa da quella giallorossa, e anche se sarà un po’ strano per noi, in fondo è giusto così, perché lui voleva solo giocare ed allora è opportuno che continui a farlo.
Resta l’amara considerazione di una visione del calcio non più romantica ma opportunista di chi mette i soldi e non contano sentimenti e storia ma solo profitto: un americano a Roma non sapeva nemmeno chi fosse daniele De Rossi prima di diventare presidente della squadra. E da James Pallotta non si può pretendere di tirare fuori dal suo animo la storia e l’amore per una squadra, non lo capirebbe, non ne è capace. Per lui la Roma non è mai stata ieri Totti e De Rossi oggi: ma solo un profitto che se non si realizzerà lo stadio è ai titoli di coda. E noi cerchiamo il cuore in chi non ha nemmeno la testa per la “sua” squadra?