Di Matteo Schiaffini. “Gina Cetrone e il marito si sono rivelati i soggetti scaltri e pericolosi che non hanno avuto alcuno scrupolo nel ricorrere in diverse occasioni ai Di Silvio per inibire e condizionare l’attività imprenditoriale di un concorrente e per interferire sull’andamento della campagna elettorale”. Questo è quanto riportato dal gip, Antonella Minunni nell’ordinanza cautelare. Gina Cetrone, ex consigliera del Lazio per il Pdl, arrestata insieme ad altre quattro persone, tra cui anche il marito Umberto Pagliaroli, con l’accusa a vario titolo, di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata aggravati dal metodo mafioso.
I fatti risalgono alla primavera del 2016. Emerge dall’indagine, svolta dalla squadra mobile coordinata dalla Dda diretta a sua volta dal procuratore Michele Prestipino, un quadro che in prima battuta risulta essere inquietante. Moglie e marito avrebbero assoldato dei mafiosi locali (Agostino Riccardo, Samuele Di Silvio e Gianluca Di Silvio) compito di quest’ultimi costringere un uomo ad andare in banca, effettuare un bonifico di 15 mila euro a favore della società dei coniugi e, in più, 600 euro “per il disturbo”. I due coniugi, inoltre, sembrerebbero aver incaricato uomini del clan Di Silvio di truccare i manifesti degli altri candidati, al fine di ottenere maggiore visibilità alle elezioni.
Fatti come questi si manifestano quotidianamente da vent’anni a questa parte, una più che giustificata indignazione dovrebbe far sobbalzare tutti dalla sedia eppure non si muove foglia. Solo in tempi recenti, la mobilitazione delle sardine e dei ragazzi di Greta ha portato carburante ad una società spenta, nonostante questo, malaffare e corruzione imperversano da nord a sud (altrettanti fatti scandalosi, di commistioni politico-mafiose, emergono dalle indagini di Gratteri a Catanzaro) e, parallelamente, sul terreno politico da destra a sinistra. Per invertire questa tendenza l’unico modo è quello di costruire un sistema giudiziario che abbia come fine quello di reprimere ancor di più il delinquere. Tutto questo in piena bufera giudiziaria con la pagliacciata alle inaugurazioni dell’anno giudiziario, contro la riforma della prescrizione (per fortuna non tutti i 180 mila avvocati la pensa così), tenutasi nei giorni scorsi. Ormai nessun imputato potrà sperare nella prescrizione, che puntualmente falcidia 120 mila processi l’anno; non illudiamoci che la sola riforma della prescrizione serva a risanare un paese in piena crisi in questo settore, ma ora qualcosa sembra muoversi dove ci sono leggi (spazzacorrotti, blocca prescrizione ecc.) che segnano un passo diverso rispetto al passato.