Di Alessandro Duca.Uomini e motori. Il connubio tra i due è sempre stato fortissimo; che si tratti di motori per sorvolare i cieli, navigare velocemente, o sfrecciare il più veloce possibile sulla terra ferma, la passione per i motori è sempre stata fortissima, in particolare per quelli montati su quattro ruote.
Oggi nonostante l’avvento dell’elettrico e le autovetture che perdono appeal, il suono e la velocità degli organi meccanici stimola ancora molti appassionati.
Gran parte dell’interesse ricade però quasi sempre sul mondo della formula 1, nonostante in questo periodo di test, dal momento che a marzo ha inizio il mondiale.
Ma il mondo delle corse automobilistiche è molto ampia e, c’è un “settore” che al pari della f1 ha attirato grandissimo interesse e infiammato milioni di persone, data anche la nascita quasi in contemporanea, proprio con i colleghi di formula uno.
Stiamo parlando dei rally, oggi sempre importanti ma che “sonnecchiano” in disparte con pochi riflettori.
In realtà l’idea di partenza dei rally (oggi chiamati WRC) è semplice quanto geniale. Gare su strade aperte, niente circuiti chiusi, talvolta attraversando zone rurali, o comunque paesini di solito percorsi al massimo dai mezzi agricoli. Niente vie di fughe, strade sconosciute e ostacoli fatti dalla flora e fauna locale; senza contare che le gare si svolgono ad ogni latitudine, dalla Svezia all’Australia, dall’Europa alle isole mediterranee.
Il tutto affrontanto con auto che derivano da quelle di serie, quelle che usano le mamme per accompagnare i figli a scuola, che nel caso del WRC vengono messe sotto cure “anabolizzanti” per raggiungere potenze di 300 cavalli.
A partire dagli anni 70 questo sport subì una vera e propria ascesa, che anno dopo anno attirava sempre più persone. Il biglietto non era necessario e i piloti sfrecciavano sotto magari la propria Camera; i piloti poi, non erano i ricchi privilegiati della f1, ma spesso gente “del popolo” che magari costruiva la macchina in garage e si era fatto strada dal basso.
Anche i costruttori Peugeot, Lancia, Renault, Audi, alimentarono la competizione, dando vita anche ad una lotta industriale tra le case; così le gare si trasformavano in una sorta di mondiale di calcio, dove se a vincere era una casa Italiana, vinceva la nazione stessa. Per accaparrarsi il mondiale ci fu una vera e propria rincorsa alla potenza, con le vetture che raggiunsero a partire dagli anni 80 potenze sempre più estreme, fino a raggiungere tra i 500 e i 600 cavalli. Era l’era delle gruppo B.
Ma tutta quella potenza sulle strette strade sterrate o innevate dei rally portarono inevitabilmente alla morte.
Così dopo il susseguirsi di eventi sempre più tragici, alle porte degli anni 90 vennero inserite regole più restrittive, che fecero assopire a poco poco l’interesse per questa disciplina, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui non gode del rispetto che meriterebbe.
Oggi la situazione potrebbe peggiorare, con l’introduzione dei motori ibridi anche sulle vetture da rally (come se il problema dell’inquinamento derivasse dalle corse…), Togliendo quel briciolo di interesse rimasto ai (pochi) appassionati.
A tutti i tifosi di questo fantastico sport e delle passate generazioni che ricordano con gioia le gare del passato, non resta che sperare in una rinascita, perché oggi a fare paura non sono le condizioni meteo delle gare, ma il dimenticatoio in cui il rally rischia di cadere… Auguriamo una lunga vita al rally.
Automobilismo: God Save the Rally