Di Gabriele Dominici

Un busines perverso, un gioco che non è più un gioco. E gli effetti sono devastanti a ben pensarci, soprattutto sui giovani che provengono da un mondo diverso, dove sognano di essere come i loro idoli ma dove il “dio denaro” ancora non conta molto.Diverso per il calcio ai massimi. Il calcio è uno degli sport più amati e popolari del pianeta, ma negli ultimi anni gli altissimi interessi economici, legati soprattutto a società quotate in borsa, lo hanno trasformato in un vero e proprio business, dove l’amore e il piacere per il gioco viene sopraffatto dal “Dio denaro”.

Quest’aspetto ha effetti devastanti su tutto il movimento calcistico tanto da aver ormai contaminato anche l’ambiente  dilettantistico, che si è sempre basato esclusivamente sulla passione per questo sport e dove il sacrificio e l’impegno di ogni ragazzo sono ripagati dalla semplice appartenenza a questa realtà.

Chi segue queste categorie di calcio sta assistendo, infatti, ad un continua e progressiva riduzione delle società calcistiche minori a causa di carenze di carattere economico, ma anche per il sempre minor numero di ragazzi disposti a fare sacrifici per uno sport che dovrebbe avere come principale scopo quello di soddisfare una esigenza fisica e come necessità di sfogo, passando attraverso la socializzazione. Un aspetto questo che ha sicuramente grande importanza soprattutto per le società di quartieri periferici, dove il calcio rappresenta per molti ragazzi l’unica alternativa alla strada, società che offrono opportunità a tutto raggio.

In questo senso l’aspetto negativo che ha condizionato il calcio cosiddetto minore , infatti, è la mancanza di educazione sia degli spettatori che degli atleti in campo; un male questo che affonda le sue radici sin dai primi calci al pallone, cioè da quando genitori, illusi da una futura carriera calcistica, caricano di pressioni e di false aspettative i bambini allontanandoli dal vero significato dello sport di squadra come momento di aggregazione e di divertimento, vissuto nel rispetto delle regole di convivenza. La domenica sugli spalti  la loro tensione viene scaricata sul ragazzo, sul mister e sull’arbitro o su chiunque possa divenire un capro espiatorio a cui addossare la responsabilità del fallimento.

Questa continua intromissione fuori luogo genera, soprattutto, una perdita di rispetto del ruolo che sfocia poi in vere e proprie aggressioni verbali nei confronti degli arbitri ma che, fortunatamente non troppo spesso, lasciano il posto a delle vere e proprie aggressioni fisiche.

Recente è quella avvenuta nei confronti di un arbitro a San Basilio dove, appunto due tifosi, genitori di ragazzi che stavano giocando, hanno aggredito il direttore di gara, provocandogli delle lesioni; episodio che purtroppo non rimane caso isolato e nei confronti del quale le istituzioni (Stato, FIGC,…) si rivelano inefficaci non riuscendo a prevenirle e nemmeno a penalizzare concretamente gli autori.

Ognuno può e deve, in questo senso, dare il proprio contributo, dai ragazzi ai genitori, dai presidenti di società ai collaboratori: riportare il calcio al suo significato più profondo quello di sport educativo e poi se ci sarà un nuovo campione lo sarà dentro e fuori dal campo!

 

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