Di Lorenzo Giannetti

Nelle grandi metropoli odierne le strade, i luoghi pubblici e molti esercizi privati sono dotati di telecamere di sorveglianza. E’ ormai difficile, se non impossibile, riuscire a passare totalmente inosservati. La situazione  può in qualche modo ricordare quel progetto concepito dal filosofo Bentham (ma mai realizzato), di una prigione particolare chiamata Panopticon. Questa struttura era concepita per permettere ad un solo guardiano di sorvegliare contemporaneamente tutti i detenuti. Il progetto prevedeva la costruzione di una torre centrale adibita a postazione di guardia e celle concentriche intorno ad essa dotate di una sola finestra. La concezione dell’edificio è razionale (tipica caratteristica del periodo illuminista) in quanto cerca la miglior conformazione possibile relativa allo scopo della prigione, ovvero il controllo. Il risultato non era solo quella di potere gestire l’intero complesso tramite l’impiego di un solo lavoratore, ma anche quello di spingere i detenuti e tenere un comportamento corretto anche a prescindere dal fatto che fossero sorvegliati o meno. Non potendo infatti sapere quando la guardia sarebbe stata nella torre e quando no, essi si sarebbero sempre e comunque sentiti sorvegliati.

Tornando però al nocciolo del nostro discorso, come questo dato di fatto ha modificato la nostra società? Che essa sia profondamente sensibile a questa causa lo testimonia la mole di film, romanzi e altre espressioni artistico/popolari che di questo tema ne fanno il loro nucleo vitale.  Sicuramente è un forte fattore di riduzione dei crimini perché l’eventuale criminale sa di poter essere più facilmente identificato. La telecamera, dunque, è concepita come uno strumento di sicurezza con una serie di accezioni che risultano positive, ma più di una volta io, come molte altre persone, mi sono sorpreso a tirare la testa all’insù per scorgere l’eventuale presenza di telecamere. Pur non avendo intenzione di trasgredire alcuna legge, si ha spesso il bisogno di sapere di essere osservati o meno, quasi che questa consapevolezza ci fornisca inconsciamente un motivo in più e più solido per non commettere delle azioni che in novantanove casi su 100 non avremmo comunque compiuto perché contro i nostri valori o insegnamenti. Dunque sicuramente le telecamere ci fanno sentire più sicuri, ma abbiamo mai pensato che possano in qualche modo limitare la nostra libertà? Quella sensazione di sospetto e di preoccupazione nel compiere azioni quotidiane al cospetto di telecamere va in qualche modo a limitare il senso di libertà di ognuno.

Il rovescio della medaglia vede però presentarsi un fenomeno tipico dell’animo umano: ciò che è posto sotto stretta sorveglianza e che è proibito può scatenare il sentimento di trasgressione. Spesso per un ragazzo che vuole inserirsi in determinati tipi di gruppi la via più facile è quella di apparire come trasgressivo e sprezzante. Quale migliore opportunità può cogliere se non quella di fare qualche bravata che sia ripresa da telecamere? Inoltre, spesso, chi sfida apertamente le autorità o gli status quo, riceve molto seguito (anche se le sue azioni dovessero risultare deplorevoli o peggio fuorilegge). In questo caso essere ripreso mentre si compie un gesto simile diventa un motivo in più per compierlo perché accompagnato dalla possibilità che questo porti fama o notorietà.

In conclusione, quale sentimento prevale? Il senso di sicurezza dovuto al controllo a cui tutti siamo soggetti? O la sensazione di limitazione e soffocamento che ci provoca la consapevolezza di essere osservati? Oppure l’esaltazione della trasgressione e del culto del fuorilegge?

 

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