Di Eleonora Gentile.
“Spara alla moglie e chiama i familiari di lei: ‘Andatevela a prendere morta’ ”
“L’ha uccisa a sprangate poi si è costituito”
“Uccide la moglie a coltellate e poi chiama il 113”
“25enne uccisa dall’ex con una coltellata al cuore: lei lo aveva già denunciato per violenza”
Questi sono solo alcuni dei titoli che gli italiani trovano tutti i giorni, ormai da tempo(troppo),sui giornali.Titoli che sembrano non sorprendere più.
Se negli anni i cambiamenti sociali, legislativi e culturali hanno portato a dei miglioramenti nelle relazioni tra uomini e donne, i femminicidi rimangono stabili.
Ci si chiede quale sia il problema,come fermarlo, ma sopratutto: la legge sta veramente aiutando?
Si nega, ma la verità, almeno dai fatti, è che viviamo in una cultura maschilista e in una società che non dà reali ed efficaci tutele alle donne dal punto di vista giuridico.
Il femminicidio è spesso solo l’ultimo tassello di un puzzle di violenza; raramente è frutto di un momento d’ira incontrollata, e a testimoniarlo ci sono i dati che evidenziano come nella maggior parte dei casi, quelle donne, avevano già subito abusi prima di venire assassinate.
Molte erano andate dalle forze dell’ordine prima di essere uccise, avevano segnalato e denunciato l’ex marito o compagno che le intimidiva, avevano già raccontato delle sue violenze, percosse, urla. Con paura e angoscia erano andate dalle autorità con la speranza di trovare almeno nello Stato un punto di appoggio, una protezione e invece nulla o non abbastanza.
Perchè nonostante le riforme le donne continuano a morire e la legge sembra non dargli giustizia.
Così, figli, genitori, parenti, amici, che si sono visti strappare gli affetti più cari, restano e vivono un lutto che diventa ancora più grande quando il loro dolore non viene riconosciuto. Sentenze che attenuano e dimezzano la pena perché l’assassino era “disperato, in preda ad una tempesta emotiva”, come se questo potesse in qualche modo giustificare l’uccisione. “Ho perso la testa, sono troppo ‘geloso’, ” ho avuto un raptus”, “non capivo quello che cosa stava accadendo”. La realtà è che non si tratta di tempeste di nessun genere ma semplicemente di un “io” ferito non in grado di accettare la fine della relazione. Lei ha deciso di ribellarsi, di dire no. Ha scelto la libertà, ha messo se stessa, i suoi bisogni e desideri prima del patner.
L’io a questo punto non regge la sfida che gli è stata lanciata e vede come unica soluzione l’uccisione della persona che diceva di amare. Ma il problema è che non si ama mai abbastanza da lasciare andare e da accettare la parola fine senza per forza versare del sangue.
Forse per questi atti non troveremo mai un senso, il perchè la mente umana riesca a compiere atrocità del genere; ma è certo che sia arrivato il momento di cambiare ed agire diversamente da come si è fatto fino ad ora, perché nonostante le campagne di sensibilizzazione, i dibattiti e le leggi i femminicidi continuano a verificarsi senza sosta.