Di Giordano Tabbì.

Andare a trecento chilometri orari non è per tutti, ci sono piloti che entrano nella leggenda attraverso vittorie ed imprese leggendarie, come Schumacher, ed altri che invece, entrano nei cuori della gente nonostante abbiano vinto poco o meno rispetto ad altri ,come ad esempio Lauda o Villeneuve. Già, perché se contiamo solamente i titoli o i trofei, NikiLauda, scomparso oggi all’età di 70 anni per complicazioni legate ad un trapianto di polmoni, ne ha vinti tre: nel 1975, nel 1977 e nel 1984 con McLaren e Ferrari, ma lui era molto più di questo.

Soprannominato “il computer” per il suo modo perfetto di guidare, che per molti aspetti ricordava un altro mito dell’automobilismo, achille Varzi, Niki Lauda era una persona apparentemente fredda, cinica e senza emozioni, però con il tempo si è capito che lui era molto di più. Dal punto di vista del pilota era sfiorare il limite, aerodinamica, trazione, pura velocità. Niki era un genio nel capire la macchina, la ascoltava, riuscendo a comprendere sempre come migliorarla e come migliorarsi con essa. E’ stato un grande pilota quando ancora questo ruolo contava più della macchina, è riuscito a superare tutti i pericoli che il suo lavoro comporta, ha vissuto momenti felici e momenti tristi ma non ha mai abbassato la testa. Ha corso per tre anni con la scuderia del cavallino rampante, e nonostante alcuni diverbi con dirigenti, meccanici ed ingegneri ed un brusco addio, Niki è sempre rimasto nei cuori dei tifosi della Ferrari.

L’incidente del Nurburding in Germania del 1976 lo ha segnato per tutta la vita. Quelle cicatrici sul tutto il corpo dovute alle ustioni, provocate dalle fiamme della vettura che va a fuoco, sarebbero state troppo pesanti per tutti, ma non per lui. Niki Lauda ha vissuto due vite, una prima l’incidente e una dopo. Ha lottato da giovane aggrappandosi alla vita e si è presentato a Monza pochi sei settimane dopo per correre, perché lui senza velocità non ci sapeva stare. Niki era sempre pronto a combattere in pista, ma allo stesso tempo aveva grande rispetto degli avversari, era generoso e scrupoloso, un cavaliere in una monoposto di F1, che nonostante l’incidente e le molteplici ferite riportate in tutto il corpo, si è rialzato, ha rimesso la tuta, il casco, è entrato in macchina ed ha continuato a fare quello che amava, correre. Non ci dimenticheremo mai le sue battaglie con James Hunt, che hanno segnato un’epoca di questo sport, ora lo raggiunge in cielo, chissà se anche lì daranno spettacolo.

All’età di settanta anni dopo una vita adrenalinica si prende il meritato riposo. E’ stato l’artefice del rilancio del movimento automobilistico di quegli anni, è diventato una leggenda di questo sport e siamo sicuri che anche lì, in cielo, sarà sempre lui “l’immortale Niki”, quello che nonostante tutto ce l’ha sempre fatta.

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