Di Fabio Panfili.
Uccidi qualcuno? Noi ti uccidiamo! Sembra questa la formula usata in diversi paesi a stelle e strisce ancor oggi, dalla Florida alla Georgia. Gli USA hanno ripreso ad utilizzare le pene capitali dal ’73 e da allora sono finite sulla sedia o sotto iniezione letale migliaia di persone. Molti sperano in una commutazione dalla pena: circa un quinto delle condanne capitali infatti vengono tramutate, dopo anni di internamento, o in ergastolo o nella liberazione del prigioniero. Recentemente, il 2 di maggio, in Georgia, Scott Garnell Morrow è stato invece condannato a morte per mezzo di iniezione letale. Questo perché accusato di duplice omicidio di due donne e ferimento grave di una avvenuto nel 1994. Morrow si sarebbe intrufolato nella casa della ragazza che lo aveva mollato da poche settimane e, dopo una lunga discussione di fronte alle amiche ed ai figli piccoli della donna, avrebbe esploso i colpi letali. Purtroppo le amiche si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Morrow venne condannato nel ’99 a morte, condanna annullata nel 2014 per inadeguata assistenza legale ma poi di nuovo emessa dalla Corte Suprema che sostenne che una diversa difesa non avrebbe influito sul risultato.
Non solo i democratici USA ma anche i loro compagni d’affari: l’Arabia Saudita. Il paese islamico, tradizionalmente vicino al Qatar che ospiterà i prossimi mondiali calcistici, ha una lunga storia di esecuzioni, seguita da un’ancor più lunga lista di esecuzioni eseguite nel corso di ogni anno. Recentemente il ministero degli Interni ha dichiarato di aver giustiziato 37 persone per crimini terroristici. Una di queste, dopo l’esecuzione, venne crocifissa, modalità usata per i crimini più gravi. Molti di loro al tempo del processo, considerato da Amnesty International come iniquo, non avevano raggiunto nemmeno la maggiore età. Quasi tutti uomini sciiti, la minoranza nel paese, e tutti torturati precedentemente all’esecuzione. Le famiglie non hanno saputo della loro condanna se non dopo la loro morte. Tra i giustiziati il sedicenne Abdulkareem al-Hawaj, condannato nel periodo 2011/12, al tempo della primavera araba, per il suo coinvolgimento nelle proteste anti-governative.
Secondo Amnesty International nel 2018 c’è stato un calo percentuale delle pene capitali, nel complesso un 31%, un terzo rispetto all’anno precedente. Questi dati incoraggianti, ribadisce però l’organizzazione, sono da interpretarsi si come un segnale molto forte ma l’abolizione totale delle esecuzioni non è proprio dietro l’angolo. Emblematico il caso dell’Iran che dopo aver modificato la legislazione in materia di stupefacenti ha visto una diminuzione del 50% delle esecuzioni, pur essendo il paese che esegue un terzo delle esecuzioni mondiali, l’anno scorso almeno 253.
Col tempo il Mondo ha assistito a numerosi casi di nazioni che ancora utilizzano questa pratica in modo barbaro ma col cambiare dell’aria sono cambiate anche le modalità: molti casi in cui non ci sono più torture per estorcere “confessioni”, processi più equi…
Anche se il cammino da fare è ancora lungo e non si intravede la fine, sembra che il percorso ora sia un po’ meno oscuro.