Di Matteo Schiaffini. Il mondo si è tinto di verde. Milioni di giovani studenti scesi in piazza per chiedere ai rispettivi governi, politiche energetiche e ambientali che puntino alla totale indipendenza dalle fonti fossili. Nessuno , ormai, ha il coraggio di mettere in dubbio ciò che gli scienziati ci dicono da decenni. Nessuno eccetto Trump che dopo aver messo alla guida del principale organo di regolamentazione energetica e ambientale americano, un signore molto vicino alle lobby del carbone e del petrolio, sta cercando di smantellare ciò che è stato fatto in materia durante l’era Obama. Sul tavolo c’è un nuovo piano di regolamentazione che elimina, di fatto, i vincoli sulle emissioni di carbonio. Alcuni studi rilevano che si arriverà ad un + 8,7% di emissioni di carbonio in ben 19 stati americani. Un ritorno al medioevo senza precedenti. Va dato atto che almeno nella sua politica dissennata e scellerata il presidente americano è coerente con ciò che egli stesso rappresenta.

Dall’altra parte del globo, la Cina ci fa sapere che dal 2013 ad oggi il consumo di carbone è in forte calo (un riduzione del 20-30%), solo nella zona nordest. Allo stesso tempo, ci dice che non chiuderà i distretti industriali (situati a semicerchio cingendo la capitale), ma che anzi ne costruirà di nuovi. Questo perché ci sono in ultimazione progetti risalenti agli anni 90 (in piena era carbonifera) e perché le maggiori industrie carbonifere, petrolifere, cementifici e acciaierie sono statali. Nel gigantesco conflitto di interessi cinese queste industrie rimangono ancora ad oggi forti portatrici di interessi economici e sociali e perciò indispensabili per il governo cinese. A differenza della Repubblica Popolare Cinese, il governo indiano, nel corso degli anni, si è dimostrato più coerente in materia di politiche ambientali con leggi che risalgono già ai primi anni  70. Ad inficiare molto è la componente etica e religiosa, che ha fatto si che il governo indiano si impegnasse, entro il 2030, a ridurre considerevolmente le emissioni di carbonio e a soddisfare il 40% della domanda di energia attraverso fonti rinnovabili. Tuttavia, l’India rimane uno dei paesi più inquinanti del mondo. Questo semplicemente perché il terzo della popolazione indiana vive sotto la soglia di povertà, molti dei quali senza luce ne gas. La via più semplice, la via più veloce, la via che ha seguito e che segue anche la Cina è quella dei combustibili fossili. L’India oramai è diventata la terza economia mondiale e si stima che ci viva il 18% della popolazione mondiale, abbandonare il fossile e di diminuire l’esorbitante numero di poveri è l’obiettivo da raggiungere.

Nella euforia dell’incoerenza globale ci siamo anche noi, c’è l’Europa. Dal canto suo l’Europa non è priva di contraddizioni: mentre la Germania annuncia che investirà 100 miliardi di euro, da qui fino al 2030, per fonti energetiche rinnovabili, la Polonia non ne vuole sapere di archiviare il carbone, piuttosto stima che lo sfruttamento di carbone sarà del 50% fino al 2030. Vuoi per tradizione, vuoi per problemi sociali che ne deriverebbero se si dovessero chiudere le industrie carbonifere polacche (100.000 persone che ci lavorano) la Polonia, in compagnia di altri paesi (Bosnia, Kosovo, Macedonia, Serbia e Bulgaria), mossi da ragioni simili, detiene il record di forte dipendenza dai combustibili fossili.

L’entusiasmo è giusto, la voglia di poter cambiare le cose è sacrosanta, ma solo dopo aver preso atto delle dinamiche sociali, economiche e politiche che ruotano attorno alle problematiche ambientali. Perché come ci ricorda Tito Livio: “ Non sarà mai vinto colui che saprà essere saggio e valutare a fondo le cose anche nei momenti di euforia”.

 

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