Luca De Lellis. Fa strano pensare che in un tempo non molto lontano da questo, anche se in epoche calcistiche differenti (il Parma da metà degli anni ’90 fino ai primi anni del nuovo millennio, il Verona a metà degli anni ’80), queste due squadre potessero contare su campioni del calibro di Crespo, di Garella, di Cannavaro e molti altri ancora. Oggi, invece, è quasi la normalità vedere Parma e Verona scontrarsi per un match che vale la permanenza nella massima serie, tanto che a nessuno (ad eccezione delle rispettive tifoserie) interessa particolarmente del risultato finale della partita, il quale ha visto prevalere la squadra di Juric per 0-1.

Nel tempo,infatti, si è avuta sempre meno la possibilità di osservare delle realtà provinciali diventare grandi; negli ultimi anni i casi sono più unici che rari (su tutti la vittoria del campionato inglese del Leicester). Questo è dovuto principalmente al fatto che l’ambiente calcistico si è trasformato in un business, nel quale sono poche le proprietà veramente disposte, per attaccamento alla squadra, ad investire tantissimi soldi in un progetto che possa portare alla vittoria di un trofeo prestigioso. Esiste un divario economico tra la prima e le ultime della classe enorme: basti pensare che il monte ingaggi della Juventus è di circa 250 milioni di euro, quelli di Verona e Parma si aggirano sui 30 milioni.

Nell’odierno mondo del calcio “riempito d’oro”, quindi, non vedremo forse più il Parma vincere in Europa, il Verona diventare campione d’Italia, la favola del Grande Toro, il Napoli di Maradona, le romane dominare a inizio millennio e la Sampdoria della coppia del gol Vialli-Mancini sfiorare la vittoria dell’allora Coppa dei Campioni.

Ma oggi è un’altra storia: Parma e Verona sembrano ai titoli di coda

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