Di Giulia Capobianco. Vittime nascoste. Vittime invisibili, ma vittime esistenti. Vivere il trauma dell’uccisione della propria madre o assistere a quel pugno sull’occhio, a quel bastone percosso brutalmente sulla schiena, fa male. “Papà che stai facendo? Papà mi fai paura. Papà, la mamma non respira più”. Un trauma che rimane lì fermo, incatenato. Un’ immagine indelebile, incastonata nella mente e negli occhi.
Dietro l’uccisione di una donna, c’è l’uccisione di una madre. Una vittima palese, lampante. Dietro ogni vittima palese, si nascondono vittime invisibili, quelle dimenticate. Lì fuori, fuori dove l’indifferenza urla a squarciagola, li chiamano “sopravvissuti all’olocausto familiare”. Vittime due volte, vittime di violenze in famiglia e vittime – testimoni di quelle mani avvolte attorno al collo fino al soffocamento. Lo stesso soffocamento di un’infanzia, un soffocamento che priva un figlio di vivere serenamente.
Ci sono colpi e colpi, lividi e lividi. Alcuni non hanno colore, non si vedono. Alcuni lividi sono più intensi e si trasformano in un dolore lancinante che brucia senza sosta. È il dolore di chi resta. “Ho visto la mamma che piangeva tante volte. Ho visto la mamma che si asciugava le lacrime con un fazzoletto rosso. Stropicciava le dita sugli occhi, ma le facevano tanto male. Erano blu, come il cielo quando di notte ci sono le stelle. Ho visto la mamma che metteva il cerotto sul braccio ogni sera. Parlava con papà, ma lui alzava la voce e lei continuava a piangere. Poi non ha più pianto, non sentivo più la sua voce. La mamma non respirava più, la mamma non c’era più”.
Li chiamano anche “Orfani speciali” perché tali sono i loro bisogni. Dove sono quei bambini, “superstiti”, orfani delle mamme ammazzate dai papà? Di chi se ne occupa? Chi prova ad aiutarli a curare quel colpo che brucia più di uno schiaffo in piena faccia? La legge dovrebbe essere un punto di riferimento, dovrebbe, ma non è ancora completamente operativa. Intanto la ferita rimane aperta e viva, nitida, così come il ricordo di quelle parole, di quelle scene; così come “la paura di papà”.