Di Concetta De Giorgi. Secondo i dati Eurostat 2018, l’anno scorso quasi una donna su tre era a casa e non era interessata ad entrare nel mercato del lavoro, contro una media europea inferiore al 20% (fonte: https://www.open.online/2019/12/09/gender-gap-solo-il-568-delle-donne-italiane-lavora-la-parita-di-genere-e-ancora-lontana/).
Sempre per citare un’altra fonte: “https://www.savethechildren.it/blog-notizie/gender-gap-la-situazione-italia, classifica riportata dal “Global Gender Gap Report 2018”, stilata dal World Economic Forum sulla base di diversi parametri, il nostro Paese si attesta al 70° posto (su 149 Paesi considerati) registrando un notevole slittamento verso il basso rispetto al 2015 (anno in cui ci collocavamo al 41° posto).
Questi dati si basano su vari studi che analizzano le differenze di genere che si possono riscontrare sia a livello socio-economico e politico, di educazione e salute fornendo una classifica dei paesi ed evidenziando l’ampiezza e la portata di tale divario. Stiamo parlando del Gender Gap dove si tende ad osservare l’esistenza di maggiori penalizzazioni per le donne rispetto agli uomini, quello che si evince da questi studi che la parità è molto lontana. Ora partendo da queste fonti autorevoli ci si deve domandare cosa fare per cercare di superare questa differenza naturalmente si deve iniziare dalla educazione e dal dialogo tra i sessi o meglio trasformare la cultura di un Paese, non ragionare più per stereotipi, sull’identità di genere e liste di finalità fissate in base al genere, ma solo in base alla propria attitudine e al raggiungimento della felicità. In Italia si deve fare ancora i conti con degli stereotipi duri a morire riguardo la figura della donna nella società ma soprattutto in seno alla famiglia dove viene vista ancora come l’angelo del focolare; oppure considerata troppo fragile per lavori manuali difficili; altrimenti in aziende dove la figura femminile non è presente viene costretta a lavori non consoni alle sue aspettative derisa o peggio costretta a sopportare pressioni o avances; non ultimo obbligata a firmare contratti dove si impegna a non rimanere incinta per evitare un avanzamento di carriera o talvolta il licenziamento.
Altro dato importante da analizzare dalla fonte Eurostat 2018 e ”quasi una donna su tre era a casa e non era interessata ad entrare nel mercato del lavoro, contro una media europea inferiore al 20%. E paradossalmente ad aumentare in maniera consistente era soprattutto il tasso di attività per la fascia più anziana, ovvero quella compresa tra i 55 e i 64 anni: in Ue tra il 2002 e il 2018 ha guadagnato in media 21 punti (dal 41% al 62%), mentre in Italia è avanzato di 22,5 punti (dal 34,5% al 57%) soprattutto grazie alla stretta sull’accesso al pensionamento..” Questo elemento mette in luce che l’agognato lavoro si riesce a raggiungerlo in tarda età slittando di molto la possibilità per codesta fascia di età di andare in pensione, tirando le file di una vita professionale standard di una donna che entra nel mondo del lavoro dopo aver svolto nelle varie tappe della sua vita scolastica e familiare, ecco che la donna arriva alla vera emancipazione intorno a questa fascia di età che in teoria dovrebbe essere collocata verso la pensione. Ecco perché oggi non si usa più il termine anziano ma diversamente giovane, amaro apprezzamento.